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    Anche la Francia dichiara guerra alle Big Tech: maxi-multa da 210 milioni a Google e Facebook

    Di Luca Serafini
    Pubblicato il 7 Gen. 2022 alle 13:35

    Stavolta è il turno della Francia. A scrivere un nuovo capitolo nella grande controffensiva delle autorità di regolamentazioni europee e statunitensi contro lo strapotere delle Big Tech è la Commission Nationale de l’Informatique et des Liberte’s (CNIL), ovvero l’agenzia nazionale francese che si occupa della protezione dei dati degli utenti. A pagare dazio in questo caso sono state Google e Meta (la compagnia di Mark Zuckerberg che riunisce tutte le aziende della galassia Facebook, come Instagram e WhatsApp), sanzionate rispettivamente per 150 e 60 milioni di euro.

    Una stangata pesante, poiché si tratta della multa più salata mai inflitta dalle autorità francesi nei confronti delle Big Tech. Ma cosa viene contestato esattamente a Google e Meta? Le due compagnie, secondo la CNIL, avrebbero utilizzato in maniera scorretta i cookies, ovvero le stringhe che permettono di tenere traccia della navigazione degli utenti al fine di inviare loro pubblicità mirata. La scorrettezza deriva dal fatto che, mentre per accettare i cookies ed essere quindi profilati basta un singolo clic, per rifiutarli la procedura è decisamente meno semplice.

    Ciò, rileva l’autorità francese, avviene sia Facebook sia su Google, nonché su YouTube (di proprietà di Big G). Questo modo di procedere è chiaramente in contrasto con quanto predisposto dal GDPR, il regolamento europeo sulla protezione dei dati varato nel 2018, che prescrive appunto la massima trasparenza nel tracciamento della navigazione. Gli utenti, quando visitano un sito, devono essere messi nella condizione di decidere in maniera chiara se autorizzare l’uso dei cookies, modificarlo parzialmente o non autorizzarlo.

    Da qui deriva quindi la sanzione della Francia alle due compagnie, che sono chiamate ad apportare delle correzioni al sistema dei cookies entro tre mesi. Se non lo faranno, dovranno pagare una sanzione di 100mila euro per ogni giorni di ritardo. Google ha commentato la decisione dell’autorità francese, dichiarando: “Le persone si fidano del fatto che rispettiamo il loro diritto alla privacy e ci impegniamo a tenerle al sicuro. Siamo consapevoli della nostra responsabilità nel proteggere questa fiducia e ci stiamo impegnando in ulteriori cambiamenti e nel lavoro attivo con la CNIL alla luce di questa decisione secondo la direttiva ePrivacy”.

    La battaglia per i dati e la privacy

    Il tema del tracciamento e del controllo degli utenti sui propri dati è uno dei tanti su cui le autorità regolatorie stanno cercando di intervenire per riequilibrare i rapporti di potere con le grandi piattaforme. Proprio l’assenza di regolamentazione sui dati, del resto, è stata all’origine di numerosi scandali, tra cui quello di Cambridge Analytica.

    Intervistata su questo tema da TPI, l’economista e ricercatrice presso la Commissione Europea Annarosa Pesole aveva dichiarato: “Il potere delle Big tech deriva direttamente dall’accumulo, disponibilità e controllo dei dati. Per questo bisogna partire proprio da una disciplina sui dati degli utenti. A livello europeo il GDPR, il Digital Service Act e il Digital Markets Act vanno in questa direzione e chiariscono la posizione della Commissione nel limitare questo strapotere attraverso un obbligo di condivisione dei dati con i concorrenti. A questo va aggiunta la proposta contenuta nel Data Governance Act, che si propone di creare un mercato europeo di intermediari, a cui i singoli utenti dovrebbero delegare la gestione dei propri dati. La definizione della governance dei dati sarà fondamentale nel disegnare le politiche industriali, economiche e sociali dei prossimi anni. Bisogna incentivare la condivisione dei dati di interesse pubblico, garantire la responsabilità algoritmica e stabilire le norme e le regole per ridefinire nuovi modelli di proprietà, controllo ed estrazione di valore, considerando i dati e l’intelligenza artificiale come un bene pubblico digitale, e assicurando una protezione effettiva a cittadini e lavoratori”.

    Quella dei dati è una guerra che, del resto, si sta consumando anche tra le stesse Big Tech. Ad aprile 2021, Apple ha introdotto la App Tracking Transparency, una funzione che prevede il consenso esplicito degli utenti per il tracciamento a fini pubblicitari. Un sistema volto a proteggere la privacy, che ha però sollevato enormi proteste da parte di Facebook, che ha lamentato un potenziale crollo degli introiti derivanti dalla pubblicità, proprio a causa dell’impossibilità di profilare gli utenti (e, quindi, di inviare loro pubblicità personalizzata).

    I timori di Facebook, su questo fronte, si sono rivelati tutt’altro che infondati. Un’analisi realizzata da Lotame, compagnia che si occupa di pubblicità sul web, ha infatti rilevato che l’introduzione della App Tracking Transparency ha determinato una perdita di ricavi per Facebook, Snapchat, YouTube e Twitter quantificabile in circa 10 miliardi di dollari.

    È evidente quindi che la possibilità di tracciare la navigazione degli utenti resta uno strumento fondamentale, per le grandi compagnie digitali, al fine di massimizzare i propri ricavi rendendosi più “appetibili” per gli inserzionisti. Questi ultimi, infatti, sapendo che i loro messaggi pubblicitari possono raggiungere gli utenti in maniera mirata (e quindi più efficace) sono portati a investire somme di denaro molto più cospicue per acquistare spazi sulle grandi piattaforme. Proprio da questo, dunque, nasce il tentativo di rendere il rifiuto dei cookies più complesso e meno immediato rispetto alla loro accettazione. Quando visitiamo un sito web e ci compare l’annuncio relativo ai cookies, infatti, spesso lo vediamo solo come un “intralcio” alla navigazione, e siamo portati ad accettare tutto per poter proseguire. Ovviamente, ciò avviene in particolare se la procedura per il rifiuto dei cookies viene resa più complessa, richiedendo molteplici passaggi.

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