Meno opportunità lavorative, possibilità di comprare casa o di fare la vita dei propri genitori. L’ascensore sociale, per i giovani della Generazione Z, è ancora più bloccato che in passato. Le difficoltà economiche che hanno accompagnato i millennial da quando sono entrati nel mondo del lavoro non hanno infatti risparmiato la generazione successiva. Al punto che, per un giovane nato tra il 1997 e il 2012, la possibilità di avere un tenore di vita migliore di quello dei propri genitori è più bassa che mai. È quanto starebbe accadendo in molti, ma non tutti, i Paesi occidentali.
Non è una novità che le prospettive economiche per le nuove generazioni siano peggiori rispetto a quelle dei predecessori. In molti Paesi occidentali, i millennial, la generazione dei nati tra il 1981 e il 1996, ha già dovuto fare i conti con stipendi che crescono poco o nulla e un mercato immobiliare proibitivo. Il risultato di un calo progressivo della cosiddetta “mobilità ascendente” che si dovrebbe registrare tra una generazione e l’altra.
In larga parte dell’Europa occidentale, la situazione per chi è ancora più giovane non è certo migliorata. Per i giovani di Paesi Bassi, Italia, Francia, Germania e Canada nati a fine anni ’90, secondo un’analisi elaborata da John Burn-Murdoch sul Financial Times, il tenore di vita (misurato in termini di consumo individuale effettivo pro capite) è aumentato in media a un tasso inferiore all’1% annuo. Per gli appartenenti alla Generazione Z nel Regno Unito la crescita è addirittura scesa sotto zero.
Terra delle opportunità?
Il discorso cambia invece quando si passa agli Stati Uniti. Qui, secondo Burn-Murdoch, le cose per la Generazione Z sembrano andare meglio, sia dal punto di vista dell’aumento del tenore di vita che della possibilità di acquistare una casa. Tanto da far ipotizzare che il progressivo peggioramento nelle prospettive di ogni generazione rispetto alle precedenti, registrato negli scorsi decenni, non solo si sia fermato ma si sia anche invertito.
Qui i consumi per i nati a fine anni ’90 sono aumentati in media del 2,5% all’anno, un dato superiore a quello che potevano vantare i baby boomer (nati dal 1946 al 1964) alla loro stessa età. Allo stesso tempo i membri della Generazione Z negli Stati Uniti riescono a comprare casa prima dei loro predecessori. I Gen Z possono quindi vantare una “mobilità ascendente” simile a quella che avevano vissuto i baby boomer alla loro stessa età, se calcolata rispetto al tenore di vita della generazione dei rispettivi genitori.
Non è affatto scontato però che questi segnali si traducano in una maggiore qualità della vita. È quanto indica il lavoro degli economisti David Blanchflower e Alex Bryson, che hanno registrato negli ultimi anni un netto aumento del disagio mentale tra i giovani lavoratori statunitensi, nonostante l’apparente miglioramento dal punto di vista retributivo.
Questa tendenza, che precede lo scoppio della pandemia, è poi continuata anche in seguito e si accompagna a un aumento nei salari reali e a un incremento relativo della retribuzione rispetto a quella dei lavoratori più anziani, ma anche a un crollo nella soddisfazione per il proprio lavoro. Tra le varie ipotesi vagliate dagli studiosi per spiegare questo fenomeno viene citato un apparente «ripensamento» dei più giovani riguardo il proprio rapporto con il lavoro, soprattutto dopo la crisi sanitaria. Secondo la psicologa Jean Twenge da quel momento si è registrata un’impennata nella disillusione rispetto al valore del lavoro. Riguardo il peggioramento della salute mentale tra i più giovani, Twenge ipotizza che una possibile spiegazione possa essere trovata negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza degli attuali Gen Z, connotati rispetto a precedenti generazioni da un maggior tempo trascorso online e da minori interazioni sociali, che possono risultare in «depressione, pessimismo e insoddisfazione in molti ambiti (compreso il lavoro)». Altre spiegazioni riguardano la difficoltà di lasciare la casa dei genitori, la crescente preoccupazione per il riscaldamento globale e il rischio di nuovi conflitti.
Crisi psicologica
Più in generale l’insoddisfazione rilevata tra i giovani lavoratori contribuisce a spiegare, secondo gli studiosi, un cambiamento considerato molto significativo. Dopo decenni di studi in cui la mezza età veniva identificata come il periodo della vita in cui le persone erano maggiormente insoddisfatte, dalle indagini degli ultimi anni è invece emerso come i giovani siano sistematicamente più infelici degli anziani.
Un’inversione di tendenza sorprendente, che ha finito per cambiare la tipica forma “a U” nei grafici che delineano l’andamento della felicità rispetto all’avanzare dell’età, osservata dagli studiosi in numerosi Paesi. In un altro studio pubblicato da Blanchflower e Bryson assieme a Xiaowei Xu sulla rivista scientifica Plos One, gli studiosi sostengono di aver identificato, nelle indagini degli ultimi anni, un andamento non più “a U” ma una “pista da sci”, in cui l’infelicità è maggiore nelle fasce più giovani, per poi scendere al progredire dell’età.
Il cambiamento è stato individuato una prima volta nella popolazione statunitense fotografata dall’indagine “Behavioral Risk Factor Surveillance System (Brfss)”. Gli economisti hanno calcolato per ogni fascia d’età la percentuale di intervistati che ha indicato di aver avuto una salute mentale «non buona» in tutti i giorni del mese precedente. Per il periodo tra il 2009 e il 2018 i ricercatori sono riusciti a ricreare il classico grafico “a U”, in cui la percentuale di persone infelici raggiunge il massimo tra i 50 e i 55 anni. Negli anni tra il 2019 e il 2024 è però avvenuto un cambiamento: mentre qui la percentuale di infelicità si colloca a livelli simili al passato per chi ha più di 45 anni, aumenta nettamente per le fasce d’età più giovani.
Panorama globale desolante
Dopo aver rilevato il cambiamento anche nella popolazione britannica, gli autori dello studio hanno allargato l’analisi anche a 44 Paesi di Africa, Asia, Europa, America Latina e Medio Oriente. In ciascuno dei Paesi in cui erano disponibili dati sufficienti i giovani hanno costantemente riportato una salute mentale peggiore rispetto ai più anziani. Non è detto che questi risultati segnino la fine della curva a U. È possibile anzi, come ipotizza The Economist, che a un inizio peggiore rispetto alle precedenti generazioni possa seguire un andamento altrettanto negativo in futuro.
Una prospettiva a cui molti giovani forse non intendono rassegnarsi. Questa crescente insoddisfazione può infatti spiegare almeno in parte la radicalizzazione, apparentemente contraddittoria, delle nuove generazioni. Su molti temi i Gen Z sembrano infatti esprimere posizioni fortemente progressiste mentre su altri si mantengono estremamente conservatori. Il risultato è un aumento del voto dei più giovani sia a formazioni dell’estrema destra, ad esempio Afd in Germania, che a partiti di sinistra, come la Linke, rimanendo sempre alle elezioni tedesche dello scorso febbraio. Il motivo è da rintracciare nel crescente divario “ideologico” tra uomini e donne della Generazione Z, che in Paesi come Stati Uniti, Regno Unito e appunto Germania si stanno sempre più dividendo su poli opposti: le donne a sinistra e gli uomini a destra. Abbandonando le forze politiche che difendono lo status quo.