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    La storia del campo profughi per bambini che non hanno più i genitori, in Giordania

    La ragazza siriana del campo di Azraq a cui è ispirato il murale 'Esilio' dello street artist Fintan Magee. Credit: Samantha Robinson

    Ad Azraq, 100 chilometri dalla capitale Amman, c'è un campo che ospita oltre 300 ragazzi rimasti senza padre o madre: il murale 'Esilio' dello street artist Fintan Magee è dedicato a loro

    Di Giovanni Sgobba
    Pubblicato il 24 Ott. 2018 alle 11:38 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:25

    “Esilio” è il nome che lo street artist australiano Fintan Magee ha dato al suo murale realizzato ad Amman, capitale della Giordania. L’esilio è nello sguardo fiero e malinconico della ragazzina siriana ritratta dall’artista, il cui stile quasi iperrealistico, combinato coi colori sgargianti della felpa, altera la bicromia beige-bianco tipica delle basse palazzine che popolano lo sfondo collinare della città araba.

    La ragazza, scappata assieme a tre fratelli, vive nel campo profughi di Azraq, uno dei cinque refugee camp costruiti nel territorio giordano in seguito al massiccio esodo di 1,4 milioni di siriani che hanno attraversato il confine in fuga dalla guerra civile che ha martoriato il proprio paese.

    Anche se più dell’80 percento di loro vive nei centri urbani, in un complesso processo di integrazione, i campi profughi raccontano un altro, nascosto, aspetto dell’immigrazione moderna, quello dei bambini orfani.

    Ad Azraq, 100 chilometri da Amman ed equidistante dalla Siria, ci sono minori non accompagnati, ognuno con un background differente: alcuni hanno perso i genitori, morti in guerra; altri si sono separati accidentalmente durante il viaggio o per mancanza di documenti idonei; altri ancora, nella disperata scelta di sopravvivenza, vengono abbandonati dalle famiglie perché non riescono più, economicamente, a prendersi cura di loro.

    Il campo profughi di Azraq. Credit: Samantha Robinson

    Secondo il report di agosto 2018 di Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite, nel campo di Azraq ci sono 40.901 siriani, una cittadella a tutti gli effetti, di cui il 22 percento è composta da bambini al di sotto dei cinque anni.

    Questo non è il centro più popoloso: Zaatari camp, con i suoi 79mila abitanti, sarebbe la quarta città per numero di residenti in tutta la Giordania, ma allargando lo sguardo nel complesso, quello che segna Azraq è la percentuale di minori (il 60 percento dei rifugiati) e soprattutto i 314 ragazzi che vivono senza madre o padre.

    Su una popolazione che non raggiunge i 10 milioni di abitanti, con circa 740mila rifugiati, pari a 89 ogni mille abitanti, la Giordania è il secondo paese al mondo nella classifica d’accoglienza. Ha aperto le braccia a iracheni, yemeniti, sudanesi, somali e cittadini di altre nazionalità e nel 2015, l’Unicef ha calcolato che qui vivono 819 minori non accompagnati, 892 separati dai genitori e 795 orfani registrati nelle comunità d’accoglienza.

    Fintan Magee ha passato qualche giorno all’interno di Azraq dipingendo i prefabbricati assieme alla collaborazione dei ragazzi: messaggi leggeri e ossimori, come fiori nel deserto o pesci che nuotano nella speranza di ritrovare il giusto senso di marcia. Ha reso, insomma, confortevole una situazione di stasi atemporale.

    “La ragazza che ho dipinto era la più estroversa tra tutte e lasciava continuamente la sezione femminile per giocare a calcio, socializzare e chiacchierare con i suoi fratelli”, ha raccontato l’artista.

    Il murale ‘Esilio’ dello street artista Fintan Magee, ad Amman

    Il Regno Hashemita rappresenta il barometro delicato in un’area sconvolta da decennali conflitti e che prova ad emergere come esempio di stabilità e integrazione, nonostante guerre civili e Stato Islamico attanaglino i paesi circostanti, danneggiando di riflesso, l’economia giordana principalmente basata sul turismo.

    Furono i palestinesi, fuggiti durante la creazione dello stato di Israele nel 1948, i primi a spostarsi in massa nella vicina Giordania: oggi sono quasi tre milioni assieme ai 200mila provenienti dall’Iraq e ai già citati 1,4 milioni dalla Siria; quasi metà della popolazione del paese proviene da terre limitrofe.

    In un quadro globale grave, nel quale i minori richiedenti asilo senza genitori sono aumentati di cinque volte negli ultimi cinque anni, la Giordania, dal 2012, ha accolto oltre tremila bambini orfani (report del 2017 dell’ong Mixed Migration Platform).

    All’interno del campo di Azraq esiste uno spazio specifico riservato agli orfani, di fatto un orfanotrofio che “relega” i ragazzi nella propria sospesa esistenza: l’Unicef garantisce istruzione e supporto psicologico, ma a loro non è permesso uscire fino al raggiungimento dei 18 anni o al ricongiungimento coi propri cari. Ecco, appunto, l’esilio siriano, citato dallo street artist, iniziato nel 2012 con la guerra civile che ha raso al suolo Aleppo, Homs, Damasco, passato, memoria e tradizione millenaria.

    Forzati a crescere in fretta, da un lato la scelta di attraversare il mare, dall’altro percorrere una strada non meno semplice, privi di una bussola esistenziale, aspettano la fine della guerra, o i permessi per poter frequentare una scuola. I siriani sono bloccati tra un mondo che conoscevano, la loro casa che non esiste più, e un futuro che non possono ancora iniziare.

    Il murale dice proprio questo: accanto a un riflesso sbiadito della sua vita passata, la ragazza guarda in un futuro sconosciuto, momentaneamente intrappolata.

    “Questo posto mi ha sorpreso perché le persone che ho incontrato hanno rifiutato l’inserimento in altre nazioni perché sentono che se avessero lasciato il campo, avrebbero perso anche la loro nuova patria”, racconta Fintan Magee. “Scelgono invece di attendere la fine della guerra nella speranza di poter ritornare nella loro vera casa. Qui quasi tutti sognano di tornare in Siria più di qualunque altra cosa”.

    Fintan Magee mentre realizza il murale. Credit: Samantha Robinson
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