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    In Giappone si muore per il troppo lavoro

    La "morte da superlavoro" è diventata una causa ufficiale di decesso nel paese asiatico, dove si lavora anche 90 ore a settimana, e il governo ha deciso di intervenire

    Di TPI
    Pubblicato il 2 Ago. 2016 alle 11:12 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:25

    Se in Occidente non mancano i manuali e le liste di
    suggerimenti per essere più produttivi sul lavoro, non si può dire che in
    Giappone il problema si ponga, visto che ultimamente nel paese asiatico si sente parlare sempre di più di “morte da superlavoro”.

    In giapponese il termine usato è karoshi, ed è considerato un risultato inevitabile della locale cultura
    del lavoro, notoriamente estenuante e in alcuni casi mortale, che sia per
    malattia o per suicidio.

    Come riporta il Washington
    Post
    , Kiyotaka Serizawa era un impiegato trentaquattrenne di una società
    specializzata in manutenzione di condomini, che un anno fa si è ucciso dopo
    essere arrivato, nelle sue ultime settimane di vita, a ritmi che prevedevano 90
    ore di lavoro a settimana.

    Tutto è iniziato negli anni Settanta, quando i salari erano
    relativamente bassi e i dipendenti volevano massimizzare i loro guadagni. L’atteggiamento di ricerca ossessiva della produttività e della dedizione
    totale al proprio mestiere è continuato anche durante il boom degli anni Ottanta,
    quando il Giappone è diventato la seconda economia mondiale.

    Koji Morioka, professore emerito alla Kansai University, che
    fa parte di un comitato di esperti attivato dal governo per combattere il fenomeno karoshi, dichiara al Washington Post: “In un ufficio
    giapponese, il lavoro straordinario è sempre lì, quasi come se fosse parte dell’orario
    di lavoro normale. Nessuno lo impone, ma i lavoratori lo vivono come se fosse
    obbligatorio”.

    Se dunque la settimana lavorativa di base ammonta a 40 ore,
    molti lavoratori restano diverse ore in più a disposizione e chiedono di non
    conteggiare quel tempo come straordinari, per paura di una valutazione negativa
    da parte dei superiori.

    In questa situazione, la “morte da superlavoro” è stata
    quindi ufficialmente riconosciuta (sia per infarto, che per ictus o suicidio),
    e il ministero del Lavoro ha diffuso dati secondo cui solo l’anno scorso ben 189 morti sono state
    classificate in questo modo, anche se si crede che possano essere
    molte di più.

    Una volta che una morte viene classificata come dovuta al karoshi, la famiglia della vittima ha
    diritto automaticamente a un sistema di benefici.

    Inoltre, il governo un anno fa ha passato una legge volta a fissare
    degli obiettivi specifici, come la riduzione della percentuale di dipendenti
    che lavorano per più di 60 ore a settimana al 5 per cento entro il 2020.

    La maggior parte dei lavoratori giapponesi ha diritto a
    venti giorni di ferie l’anno, ma spesso non ne prendono nemmeno la metà, a
    causa di una cultura in cui le ferie sono viste come un segno di rallentamento e
    di mancanza di impegno nel lavoro.

    Il governo spera quindi di invogliare i lavoratori a prendere
    almeno il 70 per cento di quanto gli è dovuto.

    “È impossibile liberarsi soltanto del karoshi“, sostiene Kenichi Kuroda,
    professore della Meiji University di Tokyo specializzato nella cultura del
    lavoro. “Abbiamo bisogno di cambiare la cultura degli straordinari e creare tempo
    libero per la famiglia e gli hobby. Le lunghe ore di lavoro sono la radice di
    ogni male in Giappone. Le persone sono così impegnate che non hanno nemmeno il
    tempo di lamentarsi”.

    LEGGI ANCHE: GLI IMPIEGATI CINESI CHE VIVONO, LAVORANO E DORMONO IN UFFICIO. Alcuni impiegati delle startup cinesi fanno gli straordinari ogni giorno, e per riuscire a tenere i ritmi necessari sono spesso autorizzati a dormire sul posto di lavoro

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