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    Giappone, sì alle missioni militari

    Il Giappone abbandona la via del pacifismo e mette il suo esercito a disposizione degli alleati

    Di Eleonora Cortopassi
    Pubblicato il 2 Lug. 2014 alle 12:17 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:34

    Il premier giapponese Shinzo Abe, nazionalista e conservatore, ha annunciato oggi quella che potrebbe essere considerata la più grande svolta costituzionale del Paese in termini di politica di sicurezza dal 1947.

    La Costituzione pacifista giapponese adesso consente alle Forze di Autodifesa (il nome ufficiale dell’esercito nipponico) di attuare la cosiddetta “difesa collettiva” in alcune circostanze.

    In altre parole, d’ora in poi le forze armate giapponesi potranno mobilitarsi anche qualora un alleato del Giappone si trovasse sotto attacco, non solo nel caso in cui l’arcipelago si trovasse direttamente minacciato.

    La notizia del cambiamento arriva proprio nel giorno del sessantesimo compleanno delle Forze di Autodifesa, che hanno questo nome curioso perché la Costituzione vieta il formarsi di forze armate (o almeno lo ha vietato fino a ora).

    Prevenendo eventuali critiche, il premier Abe ha sottolineato che il Giappone “non sarà coinvolto in una guerra per difendere un altro Paese, questo è fuori discussione”. Per giustificare la sua decisione, ha posto l’accento sui crescenti rischi che gravano sugli giapponesi, facendo una non troppo velata allusione alle ambizioni regionali della Cina, il cui budget per le spese militari aumenta notevolmente ogni anno.

    “A prescindere da quali siano le circostanze, è necessario proteggere la vita e l’esistenza pacifica dei giapponesi”, ha affermato il premier.

    L’iniziativa è stata accolta di buon grado da Washington e rappresenta un cambiamento radicale nella storia del Paese, oltre che un’attuazione del diritto alla difesa riconosciuto dall’ONU.

    Shinzo Abe fu eletto per la prima volta nel 2006 e già allora la sua agenda prevedeva l’idea di modificare l’articolo 9 (ovvero quello che dichiara l’intenzione del Giappone di rinunciare alla guerra “per sempre”), ma il suo governo durò soltanto un anno. Rieletto nel 2012, ha comunque dovuto attendere due anni prima di poter pensare ai cambiamenti costituzionali essendo prioritario concentrarsi sulla ripresa economica.

    Il premier Abe è riuscito ad aggirare l’ostacolo interpretando pubblicamente la Costituzione del 1947 come un testo fondato sui ricordi della guerra, delle sconfitte e dei rimpianti, facendo leva sull’idea del “voltare pagina”.

    Secondo l’opposizione, dietro il concetto di diritto di “difesa collettiva”, si nasconde in realtà la possibilità di lanciare operazioni militari esterne per aiutare gli alleati primi fra tutti gli Stati Uniti.

    Il quotidiano Asahi nei giorni scorsi ha citato l’esempio dell’Italia, il cui articolo 11 della Costituzione è molto simile a quello giapponese: esprime il principio alla rinuncia della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

    Ciononostante, l’Italia ha preso parte a operazioni belliche in terre straniere, a volte anche al di fuori del contesto Nato (come nel caso dell’Afghanistan).

    Fondate o meno che siano, le accuse dell’opposizione rivolte al premier Abe preoccupano molto la popolazione giapponese. Alcuni recenti sondaggi mostrano come la maggior parte dei giapponesi si dichiari ancora fedele alla Costituzione “pacifista”, opponendosi alla partecipazione dei propri soldati in interventi militari su suoli stranieri.

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