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    “Questa guerra non ci ha lasciato più nulla, nemmeno i ricordi”: intervista a Riad Khadrawi, giovane siriano di Ghouta

    Credit: AFP PHOTO / ABDULMONAM EASSA

    Riad ha 36 anni, dal 2012 è scappato in Italia per sfuggire alla guerra che ha devastato la sua città, Erbin, nel cuore del Ghouta, e trovare una salvezza in Italia. Come lui anche i suoi familiari, fuggiti in Germania, Turchia ed Egitto. Ma non tutti sono riusciti a salvarsi

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 26 Feb. 2018 alle 19:08 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:42

    “La casa che vedete in questo video era la mia casa. Dopo i bombardamenti di questi giorni non è rimasto nulla, se non macerie. I ricordi, i sacrifici, i momenti vissuti in quel luogo sono stati cancellati per sempre”.

    Riad Khadrawi è siriano, ha 36 anni, a TPI ha consegnato questo video pubblicato su Facebook e realizzato il 24 febbraio da un suo cugino che è ancora intrappolato nell’inferno di Ghouta, l’area che da giorni è assediata da terribili bombardamenti.

    Nel video si sente distintamente una voce spezzata e commossa che commenta le rovine che si disegnato sotto il proprio sguardo.

    Quella voce dice “Allah akbar” e, come spiega Riad, vuole dire “dio è più grande di voi chi ci avete bombardato”.

    Le forze governative siriane, fedeli al presidente Bashar al-Assad, e quelle russe hanno bombardato per oltre una settimana la parte orientale di Ghouta, in Siria, provocando oltre 500 vittime, tra cui 121 bambini.

    La parte orientale di Ghouta è in mano ai ribelli, ed è sotto incessanti bombardamenti aerei. In quell’area, nella città di Erbin, fino agli ultimi mesi del 2012, Riad Khadrawi ha vissuto con la sua famiglia. Quando la guerra ha preso il sopravvento, la famiglia di Riad ha dovuto abbandonare tutto e scappare via, in quella che si può definire una vera e propria diaspora.

    “Ho quattro sorelle e due fratelli: uno di loro è arrivato a Torino insieme alla moglie e ai figli grazie ai corridoi umanitari, un altro è con la propria famiglia a Istanbul, una mia sorella è fuggita in Egitto, un’altra in Germania, grazie a un programma tedesco di aiuti simile al corridoio umanitario”, racconta Riad.

    E i tuoi genitori e le altre due tue sorelle?

    “Sono a Damasco, vivono tutti e quattro lì, dove lavoravo per un’agenzia viaggi. Poi sono riuscito ad ottenere un visto dall’ambasciata italiana per poter venire in Italia, oggi vivo a Milano con la mia famiglia”.

    Quanti eravate in quel palazzo che vediamo nel video completamente distrutto?

    “C’era la mia famiglia e quella di mio zio: lato sinistro e destro del palazzo. A Erbin ci conoscevano tutti, era una cittadina da 70mila abitanti, ma i legami sono molto stretti con tutti. In quell’edificio sono cresciuto, dopo il 2012 abbiamo dovuto lasciarlo perché la nostra città ha cominciato a essere considerata contro il regime di Assad, di lì l’assedio: nessuno è più potuto entrare o uscire, hanno messo i checkpoint ovunque e hanno cominciato a bombardare”.

    Chi è rimasto a Erbin della tua famiglia?

    Ci sono molti zii e cugini ancora ad Erbin, mia zia è rimasta colpita nel bombardamento che ha distrutto la mia casa, ora è in coma, in un ospedale da campo. Il resto della famiglia è riuscito a mettersi in salvo.

    Com’era la tua città prima della guerra?

    Era una zona senza particolari problemi, le persone avevano una vita normale, si andava a scuola, a lavoro. Quando sono cominciate le manifestazioni per ottenere maggiori libertà c’erano scontri tra manifestanti e polizia, poi la cosa è degenerata, e si è arrivati agli scontri armati, la nostra gente si è armata.

    Tutto quello che sto provando adesso, è ancora più forte per i miei genitori che vivono a Damasco, a pochi chilometri dai luoghi in cui si consuma il conflitto.

    Hanno visto crollare la casa che hanno costruito con tanti sacrifici, mentre i loro fratelli e sorelle sono ancora dentro. Mio padre non fa che ripetere una cosa molto triste: “abbiamo sbagliato a lasciare la città, dovevamo morire lì, la gente sta morendo di fame, dovevamo restare”. Lui è legato a quella terra.

    Qual è la situazione adesso?

    Prima della guerra, Ghouta era un’area da 2 milioni di abitanti, adesso ne conta solo 400mila. Le persone sono andate via.

    Adesso la situazione è che il regime vuole riprendere il controllo in questa zona. Tre anni fa i ribelli erano ovunque ma poi con l’aiuto della Russia Assad ha riconquistato tante città e ora è rimasta l’area di Ghouta.

    Riesci ad avere notizie dei tuoi parenti, in che modo?

    Ogni tanto riesco ad avere un po’ di informazioni tramite i familiari che ho a Damasco e che a loro volta contattano chi si trova “dentro”. Loro usano internet tramite satellite, il servizio viene pagato da qualcuno che è fuori Ghouta.

    Cosa rimane di questi anni di guerra?

    Ho perso 7 cugini durante gli anni del conflitto, alcuni nei bombardamenti, altri mentre erano vicino a un checkpoint. Sette persone in tutto. Più tanti amici e conoscenti, vicini di casa.

    Cosa pensi della risoluzione Onu, come andrà?

    La tregua è sempre finta, la Russia non ha acconsentito a questo accordo finché le posizione poste non fossero accettate, hanno negoziato per una settimana, questa decisione in realtà non comporta l’obbligo di cessare il fuoco.

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