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    La generazione Erasmus non esiste, tutt’al più è un club d’élite

    L'inchiesta del quotidiano Il Foglio smentisce, attraverso i dati, la narrazione che parla di giovani europei cosmopoliti e amanti dell'Europa

    Di Laura Melissari
    Pubblicato il 8 Gen. 2019 alle 09:56 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 01:30

    Meno del 2 per cento dei giovani europei ha partecipato al programma Erasmus. A dirlo è un’inchiesta del quotidiano Il Foglio dal provocatorio titolo “La generazione Erasmus che non c’è”. Una bella narrazione, dunque, ma che non trova riscontro nella realtà e nei dati. Una narrazione che parla di giovani e speranzosi europeisti, che viaggiano, parlano tante lingue, sono cosmopoliti.

    La sinistra ha spesso usato l’espressione “Generazione erasmus”.

    Il progetto, partito nel 1987, prendeva il suo nome da Erasmo da Rotterdam, il filosofo che viaggiava in tutta Europa.

    Secondo un sondaggio di Eurobarometro, citato da Il Foglio, il 52 per cento di chi ha tra i 15 e i 24 anni tende a fidarsi dell’Unione Europea, un dato che scende leggermente al 46 per cento per chi ha tra i 25 e i 34 anni, allo stesso tempo si tratta di una fascia di età aperta al cambiamento, e aperta ai nuovi movimenti politici, anche quelli populisti e antisistema.

    Secondo YouTrend i partiti “antisistema” alle elezioni di marzo 2018 hanno rappresentato più del 60 per cento del voto giovanile: circa il 40 per cento il Movimento 5 Stelle e più del 20 la Lega di Salvini.

    Alla domanda “Cosa significa per te l’Europa”, più della metà dei giovani risponde la libertà di viaggiare. Eppure, i dati dicono che chi ha colto l’opportunità del bando Erasmus per viaggiare e studiare in Europa, non  che un’esigua minoranza.

    L’Indire, l’agenzia governativa per la ricerca e l’innovazione educativa dice che sono 5 milioni gli scambi di studenti universitari europei partiti con una borsa Erasmus dal 1987. “Sembrano numeri significativi, ma purtroppo non lo sono. Se calcolati sul totale dei possibili partecipanti tra tutti i paesi aderenti, cioè chi ha un’età compresa tra i 19 e i 26 anni circa, gli studenti che hanno partecipato all’Erasmus non sono che un’esigua percentuale”, scrive il quotidiano

    Si tratta dunque di meno del 2 per cento dei possibili partecipanti dal 1987 ad oggi. Da qui la conclusione dell’inchiesta: sono troppo pochi per definirli una vera e propria generazione.

    I dati migliorano se si prendono in considerazione solo gli anni più recenti. Nonostante però i numeri dei partecipanti siano cresciuti, la percentuale sul totale rimane comunque bassa. Il numero  così basso tiene conto del fatto che solo un terzo dei giovani europei in età universitaria sono effettivamente iscritti all’Università, e di conseguenza possono accedere al progetto Erasmus.

    I dati sono ancora più “allarmanti” se si guarda ai viaggi in Europa, a prescindere dal trasferimento per motivi di studio. Nonostante voli, treni e bus low cost, e l’enorme facilità nello spostarsi tra i paesi Ue, sono pochissimi i ragazzi che scelgono di viaggiare all’estero.

    Secondo Eurostat, nel corso del 2017, l’87 per cento degli italiani under 35 non ha trascorso nemmeno una notte all’estero, fa notare il Foglio.

    Il dato di Eurobarometro è ancora più allarmante: il 52 per cento degli italiani non è mai stato in vita sua in un altro paese dell’Unione europea.

    La generazione Erasmus, in definitiva, non esiste, o “se esiste, è una minoranza molto piccola”.

    In totale, nel nostro paese, i giovani che hanno trascorso una breve vacanza oltre confine sono stati poco più di un milione e mezzo. E chi lo fa, viaggia in media almeno 3 volte l’anno.

    Quella che si definisce “generazione” Erasmus è al massimo “un club, un drappello, una comitiva”, scrive impietosamente Il Foglio. Si tratta della fetta di popolazione giovanile più abbiente e più istruita, che ha avuto opportunità riservate ancora solo a una minoranza.

    La conseguenza, e insieme la causa di questo fenomeno è allarmante: si stanno allargando le disuguaglianze che derivano dall’istruzione e dalla formazione, principalmente per i giovani che vivranno in un mondo sempre più basato sulla conoscenza.

    “I leader europeisti farebbero bene a smetterla di rivolgersi solo a un’élite della popolazione giovanile. […]  Si parta da qui: ridurre la disoccupazione giovanile, combattere la povertà, investire in istruzione e ricerca. La via è lunga, siamo già in ritardo”, conclude Il Foglio.

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