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    “Da Gaza non esiste via di fuga, liberateci da questa prigione”

    Credit: AFP

    La testimonianza di Ramy Balawi, giovane insegnante palestinese di 30 anni che spiega come a Gaza il valico di Rafah sia l'unica porta verso il mondo esterno, aperta solo pochi giorni l'anno

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 6 Dic. 2017 alle 14:39 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 09:00

    Due settimane fa, l’Egitto ha deciso di riaprire per soli due giorni il valico di Rafah, l’unica porta di accesso per le persone di Gaza al mondo esterno.

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    Gaza è isolata dal resto del mondo a causa del blocco imposto dalle forze israeliane dopo che Hamas ha preso il controllo della città a giugno 2007.

    Le autorità egiziane hanno continuamente rifiutato di riaprire il valico di Rafah tra Gaza ed Egitto, rendendo accessibile il varco solo due o tre giorni alla volta per consentire il passaggio di qualche centinaio di persone per ragioni umanitarie, come i malati e gli studenti, pur con qualche limitazione rilevante.

    Ricevere cure o educazione sarebbero da considerarsi diritti fondamentali, ma a Gaza questi diritti non sono riconosciuti.

    Le autorità egiziane giustificano la chiusura del valico di Rafah con diverse motivazioni, incluse quelle politiche.

    Una di queste è che l’Egitto vuole favorire il ritorno dell’autorità palestinese a Gaza a spese di Hamas e ottenere così la fine delle divisioni tra i palestinesi. Un’altra questione è legata al peggioramento della sicurezza nella penisola del Sinai, a causa dei costanti attacchi dei miliziani contro i posti di blocco dell’esercito egiziano.

    Nel corso del 2017 il valico di Rafah è stato aperto in totale per 16 giorni.

    Lasciare Gaza è diventato un miraggio, soprattutto per chi ha necessità di spostarsi per ragioni di salute, per studiare o per vedere i familiari che sono altrove.

    Eppure qui parliamo non solo di numeri ma di persone a cui sono stati negati diritti fondamentali. Persone con storie commoventi da raccontare.

    Ci sono donne che aspettano da due anni di vedere i propri mariti che vivono fuori da Gaza, giovani che stanno per perdere le proprie borse di studio in altri paesi, o le hanno già perse, e altri che per il secondo anno non hanno potuto frequentare il semestre all’università.

    Ci sono  malati che lottano per la restare in vita mentre aspettano di poter viaggiare per curarsi. C’è chi ha perso la propria casa e il proprio lavoro, bambini che non vedono il proprio padre da quattro anni.

    Quando le autorità egiziane decidono di aprire il valico di Rafah, l’unico modo per oltrepassarlo è pagare una somma proibitiva: il cosiddetto “passaggio coordinato”.

    Ma chi ha necessità di partire ha un’unica scelta: pagare tra 2.500 e 10mila dollari, incassati dall’Egitto o da Hamas. Il numero consistente di persone che hanno necessità di viaggiare per ragioni umanitarie non fa altro che aumentare il prezzo del passaggio.

    Eppure questa resta una somma proibitiva per molti, se pensiamo che Gaza ha uno dei tassi di disoccupazione più alti al mondo e un tasso di povertà pari all’80 per cento.

    La chiusura dei valichi di frontiera ha lasciato le persone in città nella disperazione, privandole dei loro sogni e dei loro diritti fondamentali.

    Vivere a Gaza è diventato un inferno insopportabile, dove gli abitanti si trascinano tra persecuzioni, umiliazioni, miseria e ingiustizia.

    Forse l’unica colpa commessa dalle persone di Gaza è proprio quella di essere nate in questa prigione isolata. 

    * Testo è a cura di Ramy Balawi, giovane palestinese di 30 anni.

    **Traduzione a cura di Giulio Alibrandi

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