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    Scuole bombardate e senza corrente elettrica: a Gaza iniziano gli esami di maturità

    Di Bianca Senatore
    Pubblicato il 24 Giu. 2021 alle 07:57 Aggiornato il 24 Giu. 2021 alle 08:32

    Alle prime luci dell’alba c’è già un caldo torrido e non è una buona notizia per Miral Al Qudraa, che oggi dovrà sostenere, insieme a tutti i liceali di Gaza, l’esame di maturità. Ma quest’anno la prova finale è ancor più difficile degli anni precedenti.

    Perfino più complessa dell’anno scorso, quando gli studenti si sono dovuti dividere in piccoli gruppi per stare distanziati, indossando le mascherine per via della pandemia. Oggi i maturandi della Striscia devono fare l’esame di maturità in scuole bombardate, senza corrente elettrica e senza nemmeno i ventilatori. Anche l’acqua scarseggia in questi giorni e tra l’afa e la tensione, i ragazzi dovranno rimanere davvero molto concentrati. Penna, matita e via.

    Durante le settimane di lockdown le scuole sono rimaste chiuse e non tutti gli studenti a Gaza sono riusciti a seguire le lezioni a distanza. Un po’ perché la corrente elettrica c’era a singhiozzo, un po’ perché molti non avevano un computer a disposizione, o lo avevano ma non per tutto il tempo, perché c’era da fare i turni con fratelli e sorelle.

    Il programma scolastico, quindi, è stato portato avanti con molta difficoltà. Poi, quando le lezioni sono ritornate in presenza sono cominciate le ostilità e a maggio sono iniziati i bombardamenti a tappeto da parte dell’aviazione israeliana. In undici giorni sono state distrutte o danneggiate 130 scuole in tutta la Striscia e quelle rimaste in piedi sono state usate, e sono tutt’ora usate come rifugi d’emergenza per coloro che hanno perso la casa. L’organizzazione di questa maturità 2021 è stata, dunque, una vera sfida per insegnanti e coordinatori scolastici.

    “Prima di tutto abbiamo dovuto riunire i ragazzi nelle aule non distrutte – spiega Nadia Beshawy, una delle coordinatrici scolastiche – e i gruppi sono più numerosi di quanto avremmo preferito, ma non c’è altra soluzione, anche se abbiamo ugualmente cercato di mantenere le distanze per la sicurezza sanitaria. E poi  – dice ancora Nadia – abbiamo provato a razionalizzare l’uso della corrente elettrica per garantire ai ragazzi un minimo di respiro con i ventilatori, purtroppo però temo che non durerà e quindi non avremo energia e nemmeno internet”. Ma non c’è soluzione, l’esame va portato a termine.

    “Si chiama Tawjihi  – racconta la studentessa Miral – ed diviso in due parti, una è dedicata all’arte e alla lettura, l’altra è dedicata alle scienze e alla matematica. In base al punteggio, decidi se andare all’università e a quale facoltà. Io e i miei compagni, però, non abbiamo ancora deciso se proseguiremo gli studi”.

    Secondo una recentissima indagine del coordinamento scolastico di Gaza, una percentuale molto alta di maturandi quest’anno non ha ancora deciso se iscriversi all’università. A pesare sull’indecisione ci sono state le enormi difficoltà dell’ultimo anno e mezzo a causa della pandemia da Covid-19 e poi anche l’ultima guerra che ha devastato in maniera considerevole tutto il territorio di Gaza. “Al morale già basso degli studenti – spiega Nadia Beshawy – si è aggiunta la depressione per quello che è accaduto negli 11 giorni di guerra di maggio. Molte famiglie hanno perso anche quel po’ che avevano e ora i ragazzi si sentono in dovere di contribuire alla famiglia, senza spendere soldi per gli studi, piuttosto lavorando per la comunità”. Anche il diciottenne Abdallah ieri sera, a poche ore dall’esame, ha raccontato di essere sfiduciato, di non avere interesse a studiare. “Se la mia vita è questa, non ha senso stare sui libri. Non c’è futuro per noi palestinesi, soprattutto qui a Gaza”, dice.

    Dopo la diffusione dei dati di questa indagine interna tra gli studenti, tre scuole in particolare hanno deciso di cooperare per attuare una strategia. E così, già al termine dell’esame di oggi, alcune psicologhe e psicologi potranno parlare con i ragazzi per capire qual è lo stato d’animo e cosa davvero desiderano per il loro futuro. “Non studiare è esattamente quello che non devono fare i ragazzi in questo momento” – ammette la coordinatrice Beshawy. “L’istruzione rende consapevoli, li rende liberi, li emancipa dalle trappole dell’ideologismo e gli permette di avere un futuro: un futuro per loro fuori da Gaza e un futuro anche per noi che continueremo a vivere in questa prigione a cielo aperto”.

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