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    Frontiera d’Europa

    In Grecia il confine con la Turchia costituisce la via d'accesso preferenziale al vecchio continente

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 2 Ago. 2013 alle 19:06 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:29

    Sami avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non finire nelle mani della polizia. E così si è buttato giù dal primo piano della fabbrica abbandonata dove vive con gli altri sudanesi, a Patrasso. Un brutto volo che gli è costato la frattura di entrambe le gambe, ma almeno gli ha fatto risparmiare mesi di reclusione in un campo per immigrati irregolari.

    Ha 24 anni, ed è arrivato in Grecia da due anni. Possiede la “pink card” – la carta che attesta la sua avvenuta richiesta di asilo e lo autorizza a restare sul territorio greco – ma non ha potuto rinnovarla quando, dopo sei mesi, è scaduta. Per questo teme che la polizia possa portarlo via durante un raid. Di solito gli agenti arrivano alle 6 del mattino, per cogliere i migranti impreparati e portare via tutti coloro che non hanno un documento valido. Ma anche gli immigrati regolari scappano perché temono di essere picchiati.

    In Grecia non esiste un sistema di accoglienza, quindi Sami e gli altri vivono dove capita. Chi ha qualche soldo in genere affitta una casa ad Atene, chi non ha nulla – come Sami – vive in edifici fatiscenti a Patrasso, vicino al porto, e mangia dalla spazzatura perché il pane secco che distribuiscono tre volte la settimana non basta. Nella fabbrica abbandonata ci sono anche dei minorenni, soprattutto afghani. Loro dovrebbero rimanere in alcuni centri creati appositamente per chi ha meno di 18 anni, ma dicono si viva così male lì dentro che fanno tutti finta di essere maggiorenni.

    Se la polizia prende un irregolare, lui finisce in un centro di detenzione, e deve trascorrervi un periodo che può andare da un mese a un anno e mezzo. Dicono che il peggiore sia quello di Corinto, una ex base militare in cui le celle sono sovraffollate e le condizioni di vita pessime. Appena prima di uscire dal centro, ai migranti viene consegnato un foglio di via, che permette loro di rimanere in Grecia per qualche giorno. Poi devono andarsene.

    I più fortunati riescono ad attaccarsi sotto un tir che si imbarca per l’Italia, oppure a fuggire nei Balcani; altri scelgono di vendersi ai trafficanti di esseri umani. Chi non ha una via di fuga resta intrappolato in Grecia. Spesso non ha i soldi né i documenti per fare il tragitto all’indietro e tornare da dove è venuto. Così lo rimettono dentro, e tutto si riduce a una spirale senza via d’uscita.

    In Grecia il confine con la Turchia costituisce la principale frontiera esterna d’Europa.

    Nel 2012, secondo Frontex – l’Agenzia Europea per la gestione delle frontiere esterne – gli ingressi irregolari attraverso il confine greco-turco sono stati 37.224, e il maggior numero di persone proveniva da Afghanistan, Siria e Bangladesh. Dai dati raccolti emerge che quella greca è la seconda rotta di ingresso più usata dagli extracomunitari nell’Unione europea, dopo quelle aeree.

    La Commissione europea negli ultimi anni ha investito milioni di euro per bloccare il flusso migratorio. La Grecia con l’operazione “Aspida” ha aumentato la sorveglianza sul confine attraverso la costruzione di una recinzione di 10.5 chilometri e l’invio di quasi 2 mila poliziotti a presidio della frontiera con la Turchia.

    Secondo Frontex grazie all’operazione il numero delle entrate irregolari si è significativamente abbattuto quest’anno, passando da 7 mila ingressi nel mese di luglio a 1.100 a dicembre.

    Nonostante la drastica diminuzione degli ingressi irregolari, le violazioni dei diritti umani contro gli immigrati in Grecia restano preoccupanti. A dirlo è Amnesty International, che nel rapporto “Frontier Europe“, uscito il mese scorso, denuncia le violazioni del diritto internazionale e umanitario compiute nel Paese.

    Una prima violazione consiste nei respingimenti collettivi messi in atto dalle autorità greche. Dei 79 intervistati da Amnesty, 28 hanno denunciato almeno 39 ordini di espulsione collettiva dalla Grecia. Ciò violerebbe i diritti umani perché non consente di esaminare la condizione di ogni migrante singolarmente né di ricevere eventuali richieste di asilo. L’Italia ne sa qualcosa, perché nel 2012 ha subito una condanna dalla Corte di Strasburgo per i respingimenti collettivi verso la Libia.

    Altro problema è l’indiscriminato uso della detenzione nei confronti degli immigrati. La legge europea consente la reclusione con il proposito di deportazione o rimpatrio fino a 6 mesi, eccezionalmente estesi a un anno. Da ottobre 2012, però, gli immigrati irregolari sono di fatto detenuti fino a 18 mesi. Nei centri di detenzione spesso mancano spazi all’aperto, assistenza medica, e un interprete per coloro che vogliano fare richiesta di asilo.

    “Quella dell’Unione Europea non è una politica di gestione dell’immigrazione, ma di chiusura delle frontiere” ha commentato un attivista per i diritti umani, che preferisce restare anonimo.

    “Al momento, data l’assenza di un sistema integrato di asilo in Grecia, si possono seguire prassi arbitrarie.” ha detto, aggiungendo: “Non si parla molto della situazione perché non è conveniente. Farlo vorrebbe dire aprire un vaso di Pandora e liberare tutti i mali racchiusi al suo interno“.

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