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    Francia-Portogallo: una finale tra le due facce dell’Europa

    Oltre la sfida calcistica, la finale degli Europei è stata anche una disputa tra uno dei paesi più poveri dell'UE e uno dei più ricchi, e tra due economie molto diverse

    Di TPI
    Pubblicato il 12 Lug. 2016 alle 11:37 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:11

    Cecilia Vergnano da PORTO – Domenica notte, mentre le case,
    le piazze e i bar del Portogallo e della Francia fremevano durante gli
    interminabili 122 minuti della finale degli Europei, ad ardere non erano
    solamente gli animi degli spettatori, ma anche alcune moto e alcune macchine
    parcheggiate giusto fuori dai limiti della fan
    zone
    allestita tutto intorno al maxischermo sotto la Torre Eiffel.

    Gli instancabili casseurs
    (ovvero gli autori degli atti di vandalismo in questione) non si sono fatti
    distrarre dal calcio né dal sentimento nazionalista generalizzato, e hanno
    trovato nell’effervescenza calcistica un bon
    ambiance
    per continuare ad appropriarsi con insolenza dello spazio pubblico
    ipersecurizzato.

    Gli europei di calcio si sono disputati, di fatto, in una Francia
    agitata dalle sommosse e dalle manifestazioni di protesta contro la Loi Travail, il discusso progetto di
    riforma della Legge del lavoro francese, che favorisce i licenziamenti ed erode
    profondamente il sistema di diritti e protezioni sociali dei lavoratori della République.

    Nel frattempo, alcune migliaia di chilometri più in là, la
    vittoria quasi inaspettata del Portogallo è stata celebrata non solo dalle
    decine di migliaia di portoghesi che si sono riversati in strada con voglia di
    festeggiamenti, ma anche da un piccolo esercito di lavoratori informali.

    Piccoli commercianti di strada, già pochi minuti dopo la
    finale della partita, si appropriavano anch’essi dello spazio pubblico, delle
    piazze e delle vie più centrali, per esibire la loro mercanzia (soprattutto
    magliette e bandiere del Portogallo) e approfittare della notte di festa per un
    turno di lavoro extra.

    Ciò che forse più colpisce della vittoria del Portogallo è
    il suo aspetto quasi di rivincita: alla Davide contro Golia per intenderci. Più
    in là del mero elemento calcistico, infatti, la finale degli Europei si poteva
    leggere anche come la disputa tra uno dei paesi più poveri dell’Unione Europea
    e uno dei più ricchi.

    Da fuori è difficile di fatto immaginare come gli abitanti
    del Portogallo, un paese con una decrescita del PIL così accentuata e un tasso
    di disoccupazione così elevato, possano sopravvivere nel quotidiano.

    La cosa è più facile da capire quando si decifrano i dati
    sull’economia informale (la altrimenti detta economia sommersa), che in
    Portogallo va crescendo parallelamente alla diminuzione del PIL.

    Gli studiosi di economia e scienze sociali di fatto hanno già
    evidenziato la relazione di causa-effetto che esiste tra i momenti di crisi e
    l’aumento dell’informalità economica. Non è difficile, per altro, riconoscere
    che l’economia sommersa non è altro che una risposta ovvia alla disoccupazione:
    una serie di strategie che permettono il sostentamento materiale di quei
    settori della popolazione espulsi dal mercato del lavoro formale.

    A vari livelli, la vendita ambulante clandestina, la
    contrattazione di lavoratori in nero o semplicemente la prestazione di servizi
    professionali senza emissione di fattura sono espedienti basici e ben
    conosciuti che permettono di ridurre i costi per accedere allo spazio
    commerciale.

    Così, mentre in Francia si manifesta contra la
    precarizzazione del lavoro, in Portogallo una serie di lavoratori già precari
    celebrano la vittoria degli Europei lavorando una notte extra. Mentre in
    Francia il governo cerca di imporre una retrocessione durissima nella
    legislazione sul lavoro, il governo portoghese promuove misure per incentivare
    le emissioni di fattura (inclusa la cosiddetta fatura da sorte, una specie di premio nazionale per sorteggio,
    simile nei meccanismi a una lotteria, associato ai numeri delle fatture – il
    premio, per la cronaca, non è in denaro ma è un Audi A4).

    Confrontare le economie di Grecia, Portogallo, Spagna e
    Italia – i paesi dell’Europa del Sud – con le tendenze generali europee può
    risultare in questo senso interessante. Nonostante la loro rappresentazione mainstream di paesi “a rischio”,
    dall’economia disastrosa, superati solo da paesi dell’est come Bulgaria,
    Romania, Lettonia o Lituania, queste “pecore nere” del sud dell’Europa non
    fanno altro che seguire, in modo più accentuato, le stesse tendenze del resto
    del continente: aumento della disoccupazione, aumento dei lavori precari e a
    tempo determinato, aumento del debito pubblico, aumento degli sfratti, aumento
    dell’emigrazione.

    Grecia, Spagna, Portogallo sono forse solo gli esempi più
    evidenti di tendenze che caratterizzano l’intera eurozona.

    D’altra parte, è risaputo come le misure di austerità non
    solo non abbiano posto riparo alla crisi bensì al contrario hanno probabilmente
    contribuito al suo aumento. Per riprendere una brillante intuizione della
    sociologa Sasskia Sassen, risulta legittimo chiedersi se le ricette imposte
    dalle autorità finanziarie internazionali, implementate dai governi nazionali,
    non siano state altro che una forma di “espellere” dallo spazio economico
    formale ampi settori di popolazione e della piccola impresa, relegandoli allo
    spazio dell’economia sommersa.

    Da questo punto di vista, lo spazio economico formale si
    sarebbe quindi ridotto, mentre sarebbe cresciuto in parallelo uno spazio
    “ombra”, non rilevato dagli indicatori statistici (condizione necessaria per
    poter “resettare” gli indicatori economici tradizionali, tornare a parlare di
    crescita del PIL e di altre tendenze “positive”, a spese di anziani, giovani,
    disoccupati e precari).

    Nella finale degli Europei così come nella vita quotidiana,
    sono i piccoli dettagli quelli che ci permettono di captare e comprendere le
    dinamiche sociali più ampie, includendo quelle che scappano agli indicatori
    statistici.

    Poche moto e macchine bruciate a Parigi nei pressi della fan
    zone della Torre Eiffel, i venditori ambulanti nelle vie di Porto nella notte
    di festa, sono dettagli tutt’altro che trascurabili o insignificanti. Al di
    sopra di tutto, come al solito, il grande circo del calcio ci permette di
    dimenticare con gioia, ancora una volta, le nostre difficoltà e le acrobazie
    che dobbiamo fare ogni giorno per arrivare a fine mese. 

    * articolo a cura di Cecilia Vergnano [Universidad de Barcelona, OACU (Observatori d’Antropología del Conflicte Urbá), GRECS (Grup de Recerca sobre Exclusió i Control Socials)]

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