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    Fiorella Mannoia a TPI: “Il mio viaggio in Kenya con Amref, dove gli uomini combattono contro le mutilazioni genitali femminili”

    L'artista ha svolto una missione nella Contea Samburu insieme all'attivista Luca Paladini e allo staff di Amref, impegnato da anni in progetti di contrasto alla violenza di genere

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 10 Gen. 2020 alle 21:08 Aggiornato il 11 Gen. 2020 alle 14:57

    Fiorella Mannoia racconta a TPI la sua missione in Kenya con Amref

    Le Mutilazioni Genitali Femminili rappresentano un problema globale, che secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità colpisce almeno 200 milioni di bambine, ragazze e donne in tutto il mondo. Sono almeno 30 i Paesi in cui questa pratica è ancora inflitta a giovani adolescenti, e il Kenya è uno di questi.

    Fiorella Mannoia, impegnata da anni nella promozione dei diritti umani e testimonial di Amref, ha raccontato a TPI del suo viaggio nei villaggi della Contea Samburu, in Kenya, dove la Ong porta avanti progetti di contrasto alla violenza di genere rappresentata dalle Mutilazioni Genitali Femminili.

    “Seguo Amref da tanti anni, e questo è il progetto che mi ha colpito di più perché il tema delle mutilazioni genitali femminili tocca noi come donne molto più da vicino, in maniera molto più profonda” racconta Mannoia, che il 7 gennaio scorso è giunta nel Paese insieme a Luca Paladini, attivista, fondatore e portavoce dei Sentinelli di Milano, per visitare i villaggi dove la Ong è impegnata in attività di sensibilizzazione delle comunità locali.

    “Abbiamo visto tante realtà, siamo riusciti a capire alcuni meccanismi antichi, ci siamo spogliati dei nostri pregiudizi per capire le motivazioni che spingono le comunità a perpetrare questo genere di pratiche”, spiega Fiorella Mannoia.

    “Per cambiare è necessario un cambiamento di mentalità. Spesso le bambine vengono mutilate per motivi di economia domestica: devono essere date in sposa presto perché questo comporta un ritorno economico per la famiglia. Ma se una bambina, invece di sposarsi, studia, può aiutare meglio con un titolo che con un matrimonio precoce”, afferma la cantante.

    Lo staff di Amref, racconta, cerca di far capire prima di tutto ai capi villaggio e ai clan che studiare “conviene”, perché una figlia istruita che può andare a scuola può contribuire di più all’economia domestica.

    “Tante realtà stanno mutando”, osserva Mannoia. “È un processo lungo e faticoso, ma non per questo non percorribile, e apprezzo il modo di operare di chi non si sostituisce alla popolazione locale, ma lavora al suo servizio, senza escluderla dai progetti che li riguardano. Solo così si aiutano le persone a prendere coscienza”.

    “Nei villaggi ho incontrato africani femministi che lavorano sul campo con le donne e per le donne”, racconta. “Sono quelli che stanno operando e lavorando per far cambiare mentalità: non sono solo le donne che si battono, tanti uomini lavorano al loro fianco per convincerle a cambiare tradizioni ancestrali e radicatissime nel territorio”, continua l’artista, e ricorda uno dei momenti della missione in Kenya che più l’ha colpita, l’incontro con un capo villaggio.

    “Ho incontrato un capo villaggio che ha organizzato la festa che normalmente si tiene in occasione di una mutilazione, ma senza praticare il taglio. Le persone sono giunte dagli altri villaggi portando alle ragazze libri in dono, e questo penso sia stata la cosa più emozionante a cui ho assistito. Perché queste ragazze adesso andranno a scuola”.

    “Nei villaggi della contea esistono anche centri di accoglienza per le bambine che scappano per non essere tagliate, che non sanno dove andare: Amref sta creando centri per non lasciarle per strada, è un lavoro lento, faticoso e da proseguire. Ma c’è speranza”, afferma Mannoia.

    “Se si salvasse anche solo una ragazza da questa pratica bestiale è come se si fossero salvate tutte, bisogna gioire di ogni successo”, osserva.

    E sulla violenza di genere che colpisce le donne, ancora oggi, anche in Italia, afferma: “Anche noi dobbiamo lavorare. Qui in Kenya siamo in una fase tribale, ma il meccanismo di controllo sulle donne è lo stesso. Qui si esercita in un modo terribile, ma anche noi dobbiamo migliorare. In Italia abbiamo la fortuna di poterla denunciare, ma per quanto abbiamo fatto c’è ancora tanto da cambiare, e l’alto tasso di femminicidi lo dimostra”.

    Infine, ricordando Silvia Romano, la cooperante di 24 anni rapita nella notte tra il 20 e 21 novembre 2018 proprio in Kenya, nel villaggio di Chakama, Fiorella Mannoia racconta:

    “Siamo qui in un ospedale, negli alloggi ci sono ragazze meravigliose, una si è appena laureata in medicina, due fanno le infermiere e rimarranno qui tre mesi. Ho guardato le loro facce e ho pensato a Silvia Romano. Non possiamo non ricordarla, abbiamo il dovere di chiedere alle autorità competenti di continuare a cercare, è una nostra connazionale e bisogna lavorare per ritrovarla: potrebbe essere la figlia di tutti noi”.

    Nel viaggio insieme a Fiorella Mannoia, anche Luca Paladini, che racconta di come la conoscenza delle comunità locali che lavorano per l’eradicazione della violenza di genere offre l’immagine di un Paese che non si piange addosso, ma che ha la forza di cambiare e andare avanti.

    “Bisogna rompere lo stereotipo di un continente che si piange solo addosso, dove c’è pietismo, perché qui ho visto persone che cercano un riscatto con le proprie risorse. Spesso l’Africa è vista come un continente lasciato solo a se stesso, che non ha capacità di reagire, invece qui vedo tanta energia per invertire la rotta, dal punto di vista culturale e anche sanitario”, afferma Paladini.

    “Il progetto individua figure riconosciute all’interno delle varie comunità che indicano la strada da seguire, rispettosa delle tradizioni, ma che invita le famiglie a evitare che le proprie figlie vadano in spose all’età di 12 anni. Abbiamo avuto testimonianze di padri che sono stati convinti a non far infibulare la propria figlia, così come abbiamo avuto racconti di ragazze scappate dal proprio contesto familiare, che però hanno trovato dei luoghi in cui essere protette anche attraverso i progetti di Amref”, spiega.

    “La chiave è capire che è fondamentale che siano gli africani a parlare agli africani: non c’è lezione morale di superiorità occidentale che possa aiutare la popolazione. È la figura riconosciuta da tutta la comunità che indica la strada”, conclude.

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