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    Fethullah Gülen, l’imam più potente del mondo

    Magnate e intellettuale. In Turchia controlla scuole, televisioni, giornali, banche. Col sostegno di milioni di fedeli. Chi è davvero Fethullah Gülen?

    Di Cristoforo Spinella
    Pubblicato il 21 Nov. 2012 alle 22:34 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 23:03

    Fethullah Gülen l’imam più potente del mondo

    Quando a giugno il premier Recep Tayyip Erdoğan lo ha invitato a tornare, lui ha spiegato che preferisce “evitare di danneggiare gli sviluppi positivi della Turchia”. Del resto, neanche la morte del fratello il mese scorso lo ha convinto a lasciare il suo esilio auto-imposto nelle montagne della Pennsylvania. Si trasferì negli Stati Uniti nel 1999 per ricevere cure mediche, ma secondo alcuni anche per sfuggire a un processo per eversione dell’ordine laico. Eppure, oggi non esisterebbe più nessun ostacolo legale al ritorno a casa di Fethullah Gülen: assolto nel 2008, ha deciso comunque di non lasciare i quasi 20 ettari della sua tenuta, da cui solo di rado trapela qualche foto che lo ritrae in stanze dall’aspetto monacale. Magnate, mistico, editore, intellettuale, imam: chi è davvero Gülen?

    “La lontananza è un elemento fondamentale del suo fascino”, suggerisce subito Michelangelo Guida, professore associato di Scienze Politiche all’Università Fatih di Istanbul. Non esiste posto migliore per scavare nel potere materiale e simbolico di Gülen e della sua ‘cemaat’, una comunità religiosa che nella sola Turchia conta decine di migliaia di attivisti e una cerchia di simpatizzanti stimata tra 4 e 5 milioni di persone. È in questo confortevole complesso arrampicato sulle colline di Büyükçekmece che si cela il successo più grande del 71enne imam nato a Erzurum, nella profonda Turchia orientale. In un sistema accademico storicamente centralizzato, nel 1996 quella di Fatih è stata una delle prime università non statali di Istanbul. Una conquista decisiva per sdoganare l’immagine pubblica dell’Islam in un Paese tradizionalmente improntato a un forte laicismo.

    “La vera svolta di questo sistema educativo? Insinuare il dubbio che tutto questo non sia casuale: la lotta al positivismo”, riflette Guida, studioso del pensiero politico islamico. Eppure, non aspettatevi una roccaforte religiosa: qui gli studenti praticanti sono circa la metà, ed è una delle ultime università ad aver permesso un paio d’anni fa l’ingresso delle ragazze velate. Ferhat Arslan, direttore di un Ufficio per i programmi internazionali che ha accolto 1.200 studenti da 97 Paesi, snocciola il credo ufficiale: “Non vogliamo offrire solo la teoria, ma anche un modello educativo: tolleranza e rispetto. Insegniamo prima di tutto l’importanza dell’essere umano”. Un messaggio ecumenico che sembra uscito dalla bocca di Fethullah ‘Hoca’, il ‘maestro’, che ben prima dell’11 settembre si era già promosso come simbolo del dialogo interreligioso. Come quando nel 1998 incontrò Giovanni Paolo II per discutere di pace tra i popoli, o come testimonierebbero pure l’amicizia personale con il patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo I e la collaborazione con rappresentanti del rabbinato d’Israele.

    Perché allora tanti continuano ad additarlo come spauracchio dell’islamismo internazionale? La sua influenza, certo, non si discute. Oltre 100 scuole e una decina di università controllate in Turchia, centri di istruzione privati in 110 Paesi – dalla Francia al Sudafrica – e interessi in moltissimi settori, finanza inclusa: Bank Asya per esempio, che offre prodotti senza interessi secondo i dettami dell’Islam. Dal 2005 persino un’associazione imprenditoriale di riferimento, la Tüskon. Ma più di tutto, pesa l’impero mediatico: ‘Zaman’, uno dei quotidiani più stampati in Turchia, la rivista ‘Aksyion’ e l’agenzia di stampa ‘Cihan’. Un sistema dell’informazione integrato in cui non mancano neppure le tv. Alcune stime calcolano il totale degli asset in 25 miliardi di dollari. Eppure, la comunità mantiene una struttura liquida, a cerchi concentrici: chi siano alla fine i veri finanziatori, nessuno lo sa di preciso.

    “Per decenni, le istanze dell’elettorato islamico in Turchia sono state due: più influenza nell’economia e più libertà nelle manifestazioni religiose. Realizzando la prima, si è resa possibile anche la seconda”, spiega ancora Guida. È la ‘rivoluzione‘ di Erdoğan e del suo partito Akp, che il 3 novembre ha festeggiato i dieci anni al governo del Paese. Ma anche quella di Gülen e del blocco sociale che lo sostiene, i ‘fethullahci’.

    Le ombre sul nuovo potere turco, però, non sono poche. Denuncia per esempio il Chp, maggiore partito di opposizione, che la comunità di Gülen controllerebbe buona parte dei ‘Tribunali speciali’ in cui dal 2002 – quando cioè l’Akp è andato al governo – il numero degli imputati è passato da 8 a 68 mila. Per non parlare dell’accusa ‘storica’ di infiltrazioni massicce nelle strutture della polizia. Chi è davvero Gülen, allora? Non sembra si siano spinti troppo oltre i lettori di ‘Foreign Policy’ che nel 2008 lo hanno votato come l’intellettuale più influente al mondo. Perché, come chiosa la sociologa Nilufer Göle, docente all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi, “quella di Fethullah Gülen è la rete musulmana più potente del mondo”.

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