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    Europei di serie B

    Romania e Bulgaria dovrebbero entrare nell'area Schengen a gennaio, ma alcuni Paesi vogliono mantenere restrizioni

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 17 Dic. 2013 alle 09:27 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:28

    Mitko tiene la sua baracca pulita, ha una coperta scozzese sul letto e degli abiti riposti. Fa luce con delle candele, si riscalda con una bomboletta di gas e chiude tutto con un lucchetto quando esce. Ha 39 anni, ed è arrivato in Germania dalla Romania quando ne aveva 34 per lavorare come muratore. Poi si è fatto male alla schiena. Il suo rifugio si trova all’interno di una vecchia fabbrica di ghiaccio ricoperta di graffiti a Berlino e le sue risorse sono i pochi euro al giorno che guadagna con l’accattonaggio o spalando la neve in inverno.

    Per molti politici dell’Unione europea, Mitko è un esempio di ciò che accadrà l’anno prossimo, quando Romania e Bulgaria otterranno il pieno accesso al mercato del lavoro e al sistema di welfare della zona Schengen. I due Paesi sono entrati nell’Unione Europea nel 2007, ma in 9 Paesi – tra cui Germania, Austria, Francia, Spagna e Regno Unito – i cittadini bulgari e rumeni sono ancora soggetti a delle restrizioni per quanto riguarda il diritto al lavoro, che li rendono di fatto cittadini europei di serie B.

    Ogni restrizione sarebbe dovuta cessare il primo gennaio 2014, ma l’11 novembre il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ha annunciato che ciò non sarà possibile. Pare infatti che tedeschi, inglesi, danesi, austriaci e olandesi stiano avendo ripensamenti sul ritiro delle restrizioni. All’inizio di quest’anno Regno Unito, Germania, Austria e Paesi Bassi, hanno inviato una lettera ai funzionari dell’Ue, sostenendo che la libertà di circolazione “ha messo a dura prova i servizi locali essenziali” e “grava sui sistemi di protezione sociale dei Paesi ospitanti”.

    Questo ha fatto sorgere dubbi sul cosidetto “turismo del benessere“, che spingerebbe le persone provenienti dalle nazioni più povere, appena entrate nell’Unione, a spostarsi negli Stati più ricchi a godere dei benefici del loro sistema di welfare, piuttosto che andare lì a lavorare. Il primo ministro britannico David Cameron a novembre ha pubblicato sul Financial Times un articolo intitolato “La libera circolazione in Europa ha bisogno di essere meno libera”, con il quale ha apertamente messo in discussione il principio che permette a tutti gli individui dall’Ue di vivere e lavorare in ogni Paese dell’Unione e di godere dei servizi di welfare. Questo fa pensare che se da una parte i Paesi europei sarebbero pronti ad accogliere i professionisti bulgari e rumeni per colmare eventuali carenze di personale negli ospedali e nelle imprese, dall’altra non vogliono essere gravati dalla responsabilità per i poveri di quei Paesi – e soprattutto non per i rom.

    Dal canto suo la Commissione dell’Unione Europea ha risposto sostenendo in un rapporto che gli immigrati provenienti da altri Paesi dell’Unione che vivono nel Regno Unito pagano più tasse rispetto ai benefici che ricevono, e quindi – pur riconoscendo che l’immigrazione di massa potrebbe causare problemi sociali e infrastrutturali – bisogna ritenere che l’impatto complessivo sarebbe positivo.

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