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    Europa e Siria

    Progetto politico, o dinamica militare?

    Di Francesca Amerio
    Pubblicato il 23 Lug. 2013 alle 12:15 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 18:46

    Mentre l’idea della Conferenza proposta da Stati Uniti e Russia (Ginevra 2) continua a rimanere una possibilità, in questi giorni i ministri degli Esteri europei sono riuniti a Bruxelles per discutere delle prossime mosse da adottare per quanto riguarda il conflitto in Siria.

    Dopo l’uso di gas sarin da parte del regime, la crescente implicazione di Hezbollah nel conflitto e l’ennesimo massacro perpetrato contro civili nella città di Ariha nel nord-ovest del paese, i paesi membri dell’Unione Europea non sembrano propensi ad armare i ribelli. Sebbene la Francia e la Gran Bretagna abbiano spinto affinché l’embargo sulle armi venisse revocato il 27 maggio scorso, la verità è che nessuno se la sente di essere coinvolto militarmente. Stati Uniti in primis, benché l’Amministrazione Obama abbia deciso di sostenere militarmente l’opposizione siriana.

    Sul dossier siriano, l’azione dell’Italia segue tre direttrici. Innanzitutto dare la priorità al negoziato di Ginevra 2 esplorando qualsiasi possibilità che favorisca tale processo. Dal sostegno agli sforzi dei Ministri degli Esteri Americano e Russo all’auspicato coinvolgimento di tutti gli attori regionali, ivi compreso l’Iran.

    In secondo luogo, essa spinge affinché l’Unione Europea migliori l’efficacia nel sostegno umanitario a fronte di una situazione catastrofica. In questo contesto, l’Italia indirizza i suoi sforzi non solo a favore dei rifugiati dislocati nei paesi limitrofi, ma anche attraverso la collaborazione con le Agenzie dell’Onu che operano in Siria e attraverso l’aiuto all’Assistant Coordination Unit della Coalizione nazionale siriana (Soc) nei territori non più sotto controllo governativo. L’impegno complessivo del suo sostegno ammonta a circa 24 milioni di euro. Secondo l’Alto Commissario dell’Onu per i Rifugiati, Antonio Guterres, la guerra in atto in Siria ha provocato la peggiore crisi dal genocidio rwandese del 1994. Con una media di 5000 morti al mese (oltre 100.000 dopo oltre due anni di conflitto), sono 4 milioni gli sfollati interni e circa 1,8 milioni i rifugiati nei paesi confinanti (6000 persone lasciano il paese ogni giorno).

    Infine l’Italia incoraggia la Soc a proseguire verso una soluzione politica, in particolar modo adesso che è riuscita a eleggere la sua nuova leadership, valutata positivamente per il suo maggiore collegamento con il territorio siriano. Il Presidente, Ahmad Jarba, è un esponente di una importante tribù del nord della Siria.

    Rimane aperto un interrogativo: armare i ribelli, indebolirebbe o rafforzerebbe le prospettive dei negoziati politici di Ginevra 2?

    Uno dei principali problemi del progetto politico poggia sulla difficoltà di capire chi sarà l’interlocutore siriano con cui dovrà parlare il regime a Ginevra. Riequilibrare i rapporti di forza sul territorio tramite l’invio di armi ai ribelli consentirebbe alla Soc di guadagnare maggiore credibilità agli occhi della popolazione che risiede ancora nel paese, presentandosi al tavolo delle trattative con migliori credenzialità e maggiori possibilità di dialogo.

    D’altra parte, aggiungere armi alla guerra in corso rischierebbe di alimentare una spirale di violenza. Il regime, sostenuto dalla Russia e dall’Iran, non esiterebbe ad aumentare il ricorso al suo potenziale militare per contrastare i ribelli

    Prendendo le parole che il Ministro della Difesa Mario Mauro ha pronunciato il 22 luglio durante un convegno sul conflitto in Siria organizzato a Roma dal centro studi Meseuro, “giocare alla guerra nel contesto siriano può aprire a instabilità nel Medio-Oriente e a un’incognita per il mondo intero”. E’ uno di quei momenti dove “la chance della politica” continua il Ministro “è di indicare delle priorità, e la priorità rimane la Siria”.

    Lo stesso concetto viene ribadito dal Primo Vice Presidente Vicario del Parlamento Europeo, On. Gianni Pittella, che condivide la posizione dell’Italia di non mandare armi ai ribelli ma di tornare “all’opzione principale di Ginevra 2”, e coinvolgere gli altri attori regionali tra cui l’Iran. Riferendosi all’azione dell’Unione Europea sulla crisi siriana egli esprime un giudizio critico, sostenendo che l’istituzione si è dimostrata “un nano politico”. Catherine Ashton, continua Pittella sull’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, ha svolto “un ruolo irrilevante”.

    Mentre infuria lo scontro armato la soluzione militare non sembra essere risolutiva. Per tanto i paesi membri dell’Unione Europea concordano sul fatto che l’unica via possibile sia da ricercarsi a livello politico. Anche perché attraverso la dinamica militare vi è il rischio di uno spillover nei paesi limitrofi con delle gravi conseguenze sia per la loro stabilità che per l’equilibrio dell’intera regione.

    Citando un analista politico, Pittella ha paragonato la crisi siriana a una “matassa dai cento fili” per la sua complessità, considerati i numerosi interessi contrapposti che incidono sul paese. Per sciogliere tale matassa il filo che porta a Ginevra 2 appare, al momento, quello più promettente.

    Al convegno, infine, è stata sollevata una domanda circa la consapevolezza a livello europeo della responsabilità che si ha nei confronti dei siriani. L’inerzia europea provocherebbe, infatti, risentimento nei siriani che ritengono di non aver ricevuto lo sperato aiuto da parte dei paesi che condividono con loro una comune storia nel mediterraneo.

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