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    Elezioni in Turchia: “Sarà un voto per far cadere Erdogan, parola dei curdi”

    Manifestazione a Roma per la liberazione dei prigioni politici in Turchia. Credit: Christian Minelli/AFP

    Alla vigilia delle elezioni amministrative in Turchia TPI ha intervistato Yilmaz Orkan dell'Ufficio informazione per il Kurdistan in Italia Uiki-Onlus per avere un quadro della situazione nel paese

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 30 Mar. 2019 alle 11:42 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:20

    Economia, sicurezza e “sopravvivenza”: sono queste le parole d’ordine scandite dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan durante campagna elettorale per le elezioni amministrative del 31 marzo.

    Un appuntamento elettorale importante a cui l’AKP, il partito del presidente, guarda con particolare preoccupazione, temendo un crollo dei voti in favore dell’opposizione e la perdita del controllo delle principali città del paese.

    Ma c’è una componente molto importante che vale la pena tenere in considerazione alla vigilia delle elezioni: il voto curdo.

    La sconfitta dell’Isis nella vicina Siria da parte delle Forze democratiche siriane (FDS) curdo-arabe e il successo della rivoluzione nella regione del Rojava hanno inasprito ancora di più i rapporti tra il Governo centrale della Turchia e la comunità curda, composta da 80 milioni di persone.

    Le relazioni tra le due parti non sono mai state semplici: basti pensare che dal 2016, anno del fallito colpo di Stato, le amministrazioni curde del sud-est del paese sono state commissariate per presunti legami con il PKK, senza contare le continue minacce ai curdi siriani e, di riflesso, a quelli turchi e ai loro desideri di maggiore autonomi.

    Proprio per far fronte all’atteggiamento ostile del presidente e avere una speranza in più di trionfare nelle imminenti elezioni, il principale partito curdo in Turchia, HDP, ha invitato i suoi elettori a votare ad Ankara e Istanbul per il CHP (di ispirazione kemalista) e i suoi alleati, oppositori di Erdogan e dell’AKP.

    TPI ha intervistato Yilmaz Orkan dell’Ufficio informazione per il Kurdistan in Italia Uiki-Onlus per avere un commento sulle elezioni.

    Com’è il clima in Turchia alla vigilia delle elezioni?

    Teso. Basti pensare che la Turchia ha espulso 9 cittadini europei di cui 4 italiani che si erano recati nel paese con le delegazioni internazionali per monitorare le operazioni di voto, accusandoli di essere vicini ai terroristi.

    Alla luce di ciò possiamo dire che il Governo turco non vuole delle elezioni democratiche, non vuole permettere ai cittadini di votare liberamente.

    Il Partito democratico popolare (HDP) che strategia ha adottato?

    L’HDP, a cui si sono associati altri partiti e movimenti curdi e non, ha adottato due strategie: ha presentato i suoi candidati nei 105 comuni che già controllava e che sono stati commissariati dal Governo centrale, mentre nelle 7 città più grandi della Turchia ha lasciato gli elettori liberi di scegliere tra i candidati degli altri partiti che si oppongono al presidente.

    L’obiettivo è far crollare l’Alleanza della Repubblica creata dall’AKP di Erdogan e dal MHP che appoggia l’attuale presidente.

    Se le elezioni saranno davvero democratiche l’Alleanza dovrebbe cadere, ma già in campagna elettorale il presidente ha usato il suo potere per fare propaganda per il suo partito e temiamo che ci siano dei brogli nel conteggio dei voti. Per questo HDP ha chiesto ai suoi membri di non lasciare i seggi fino all’ultimo, per evitare che Erdogan cambi i risultati.

    Quali sono le speranza di vittoria per HDP e CHP?

    HDP spera di riprendere i comuni che già controllava e che Erdogan ha commissariato: i sondaggi danno i suoi candidati oltre il 50 per cento. Per quanto riguarda le grandi città, sappiamo che non le vinceremo tutte ma speriamo di battere l’Alleanza della nazione almeno in 4 su 7.

    Come ho detto, se AKP e MHP perdono a livello locale ne risentiranno anche su scala nazionale. Il Governo al momento è in difficoltà per colpa della crisi economica, ma adesso sta alla Comunità europea e a paesi come Italia, Francia, Germania e Regno Unito smettere di sostenere Erdogan. L’Ue continua ad appoggiare il presidente non perché sia democratico, ma solo per proteggere i propri interessi economici e per paura che i migranti fermi in Turchia riescano a partite per l’Europa se il Governo crollasse.

    La Turchia è un paese in cui puoi finire in galera per 3 o 5 anni per aver parlato male del presidente, dove non c’è libertà di stampa, ma nessuno in Ue ha avuto il coraggio di criticare Erdogan.

    Tanti attivisti e politici curdi sono in sciopero della fame anche da più di 100 giorni, 4 hanno anche perso la vita in carcere ma nessuno ha detto nulla o ha chiesto al presidente perché migliaia di esponenti dell’opposizione sono stati arrestati.

    Erdogan minaccia di non accettare i risultati delle elezioni se a vincere saranno candidati che reputa “vicini ai terroristi”.

    Questa volta credo siano solo parole vuote perché adesso tutti sanno tutti chi è davvero Erdogan, ma ciò non toglie che il clima resta molto teso e che l’uso delle minacce per indirizzare il voto e spaventare i cittadini resta un comportamento antidemocratico.

    Quanto sono importanti queste elezioni?

    Possiamo dire che si tratta di un vero e proprio referendum sul presidente Erdogan. Questa volta i cittadini, soprattutto i curdi, non guardano al programma dei candidati: l’obiettivo del voto è far cadere Erdogan.

    Quanto pesa la guerra in Siria?

    La politica di Erdogan in Siria ha fallito: il presidente ha appoggiato gli islamisti di Daesh, al Nusra e altri, ma non può più andare avanti su questa linea perché tutto il mondo ha visto cosa è davvero lo Stato islamico.

    Però la Comunità europea continua ad essere debole, non ha fatto niente per proteggere i turchi né ha condannato il comportamento repressivo del presidente.

    Tuttavia non bisogna perdere la speranza, dobbiamo essere fiduciosi che la situazione cambierà e se Erdogan non accetterà il risultato del voto può essere anche che inizi una guerra civile.  Il presidente governa usando la forza, ma se il popolo non può cambiare le cose usando gli strumenti democratici resta una sola possibilità.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
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