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    Quello di cui il Regno Unito non parla

    In un articolo del Guardian, l'attivista George Monbiot ha elencato i temi rispetto ai quali i partiti politici e i media continuano a mantenere il silenzio

    Di George Monbiot
    Pubblicato il 7 Mag. 2015 alle 23:50 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:35

    L’informazione sui temi politici non è mai tanto superficiale o evanescente come durante il periodo della campagna elettorale.

    Mentre speriamo di avere delucidazioni sulle questioni rispetto alle quali dovremo votare, troviamo soltanto gossip sulle abitudini e sullo stile di vita dei leader politici.

    Un’ossessione che si accompagna ai cambiamenti statisticamente irrilevanti negli esiti dei sondaggi e alle vuote speculazioni sui risultati finali.

    Chiunque potrebbe pensare che i media non vogliano farci comprendere quali siano le scelte reali da affrontare.

    Se le analisi delle problematiche che dividono i partiti si rivelano spesso deboli, la copertura dei temi collettivamente trascurati risulta quasi inesistente.

    I conservatori, i laburisti, i liberal-democratici e il partito nazionale scozzese possono anche discutere violentemente tra loro, ma spesso riescono a raggiungere un punto d’incontro su quali questioni debbano essere affrontate.

    Questo articolo vuole elencare una serie di temi sui quali i partiti politici e i media britannici preferiscono mantenere il silenzio.

    La prima di queste omissioni è così ovvia che dovrebbe essere presente in ogni discussione politica: il sistema guasto e corrotto attraverso il quale esprimiamo il nostro voto.

    La scusa che ho sentito utilizzare dai laburisti – “vota per noi perché è il meglio a cui si può aspirare all’interno dell’attuale sistema dei collegi uninominali a turno unico” – avrebbe un maggiore peso se solo i laburisti avessero un piano alternativo in grado di cambiare questo sistema

    Dove sono quelle discussioni furiose riguardo alla mancata riforma sul finanziamento dei partiti che consente ai miliardari e alle multinazionali di corrompere tutti politici che vogliono?

    Dov’è il dibattito sull’uso e l’abuso della royal prerogative (l’istituto di common law che consente al premier di esercitare una serie di poteri che in origine erano riservati alla Corona e il cui contenuto non è chiaramente definito, ndt) da parte dei primi ministri?

    Non c’è neanche un solo accenno alle società della city di Londra, il cui potere illegittimo precede la Magna Carta, che sono un vero e proprio buco nero della democrazia all’interno del quale le speranze per una riforma fiscale e finanziaria vengono risucchiate.

    Ecco qualcosa che dovrebbe occupare ogni giorno le menti dei politici: le persone meno abbienti in questo Paese pagano più tasse dei ricchi.

    Se non ne eravate a conoscenza – e la maggior parte della gente non lo è – è perché vi hanno insegnato a non sapere, grazie agli implacabili sforzi dei media.

    Ci distraggono fissandosi sull’imposta sul reddito, una delle poche entrate fiscali che è essere inequivocabilmente progressiva. Ma questo conta solo per il 27 per cento della tassazione totale.

    Nel complesso, i più ricchi spendono il 35 per cento del loro reddito in tasse, mentre i più poveri spendono il 43 per cento del loro reddito, soprattutto a causa della natura regressiva dell’Iva e della tassa sugli immobili.

    L’Equality Trust, l’organizzazione che lotta contro la diseguaglianza dei redditi nel Regno Unito, ha riscontrato che il 96 per cento degli intervistati nel suo sondaggio preferirebbe un sistema progressivo.

    Dov’è quindi il partito che si sta mobilitando per queste richieste, o che almeno spieghi l’attuale ingiustizia?

    Il fallimento complessivo delle tasse sui terreni e gli immobili è un elemento condiviso dai tre maggiori partiti inglesi.

    A nessuno di loro sembra però importare che questo fallimento contribuisce a rimpiazzare quell’economia di impresa, che loro affermano di sostenere, con un’economia fondata sugli affitti e sul patrimonio.

    Questi argomenti sono insignificanti se comparati alla spada di Damocle che pende sopra i nostri politici e che loro si ostinano a non riconoscere: l’impossibilità di crescita infinita in un pianeta limitato.

    Tutti i maggiori partiti e i media sono impegnati a far passare il concetto di crescita economica infinita e usano il prodotto interno lordo come primo strumento di misura del progresso umano. Anche solo dubitare di ciò, significa portare se stessi al di fuori della cornice razionale del dibattito politico.

    Per realizzare questo sogno impossibile dobbiamo lavorare senza sosta, spesso in posti di lavoro che non hanno alcuna utilità sociale e anzi recano danno.

    Chi in politica è abbastanza coraggioso da affermare che lavorando meno ci godremmo di più la vita? Chi sfiderebbe condizioni di lavoro caratterizzate da ridicole tariffe sulle esportazioni e le importazioni, o riformerebbe il regime sulla sicurezza sociale che al momento è più invasivo di un’ora d’aria in carcere? Chi è pronto a chiedersi ad alta voce a cosa serve questo castigo?

    Il collasso nazionale e globale della biodiversità, la percentuale spaventosa di erosione del suolo, il conflitto tra l’obiettivo di minimizzare l’impatto del cambiamento climatico e quello di massimizzare la produzione dei combustibili fossili: nessuno di questi punti viene portato all’attenzione degli elettori.

    Tutti i partiti concordano tacitamente sul fatto di mantenere questa situazione immutata.

    I politici non spezzeranno questi silenzi volontariamente. Il muro del silenzio viene rafforzati da una opinione pubblica ristretta e reticente, dominata dai grandi editori e dalla Bbc, che ignora o soffoca le nuove idee, segue l’élite e ostracizza gli esclusi, bloccando lo sviluppo di questa nazione.

    Dopo queste elezioni, abbiamo bisogno di riflettere e trovare nuovi modi per mettere in luce argomenti normalmente assenti dall’agenda politica.

    Dovremmo provare a scoprire perché i social media non hanno mantenuto fino ad ora le loro promesse democratizzanti.

    Dovremmo trovare nuovi modi per costruire una comunità politica, utilizzando modelli diversi come il partito spagnolo Podemos.

    Potremmo sperimentare alcune delle tecniche latino americane che hanno contribuito a trasformare la politica partendo dal basso.

    Qualunque cosa faremo, non dovremmo più permettere che la democrazia venga ridotta a una scelta così limitata.

    L’articolo originale di George Monbiot, accademico, ambientalista e attivista politico, è stato pubblicato sul Guardian.

    Traduzione a cura di Jessica Cimino.

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