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    La Corte egiziana blocca YouTube per un mese

    YouTube è stato bloccato in Egitto

    La decisione è stata presa in risposta alla pubblicazione nel 2012 di un video che attacca Maometto e che aveva causato numerose proteste nel paese e in generale in Medio Oriente

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 28 Mag. 2018 alle 17:58 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:58

    La Corte egiziana ha ordinato il blocco della piattaforma YouTube per un mese a seguito della pubblicazione di un video che denigrava il profeta Maometto, secondo quanto riferisce l’agenzia stampa Reuters.

    Inoltre, sono stati disattivati anche  tutti i link che riconducono al filmato.

    Un tribunale amministrativo locale aveva ordinato al ministero delle Telecomunicazioni e delle tecnologie informatiche di bloccare YouTube, piattaforma appartenente all’azienda Google, già nel 2013.

    Tuttavia, il Ministero aveva dichiarato che far rispettare la sentenza non era possibile senza bloccare anche il motore di ricerca Google, incorrendo così in costi elevati e in perdite di posti di lavoro.

    La richiesta di bloccare YouTube ha fatto seguito alla pubblicazione sulla piattaforma di un video intitolato “Innocence of Muslims”, che dipingeva negativamente il profeta Maometto.

    “Il trailer si apre con scene che mostrano le forze di sicurezza egiziane che rimangono inermi mentre i musulmani saccheggiano e bruciano le case dei cristiani egiziani. Poi sono mostrate alcune scene di un cartone animato che raffigurano il Profeta Maometto come un bambino di cui non si conoscono i genitori, un buffone, un donnaiolo, un omosessuale, un molestatore di bambini e un goloso, sanguinario”, scriveva il New York Times.

    Il cortometraggio è stato girato in California con fondi privati e nel 2012, anno in cui fu diffuso sulla piattaforma YouTube,  aveva scatenato una serie di manifestazioni in tutto il paese e in generale nel Medio Oriente.

    La rabbia dei  manifestanti si era diretta principalmente contro gli Stati Uniti, dato che il video è stato prodotto in America e finanziato da un’organizzazione evangelica.

    Il governo americano aveva subito precisato di non essere in alcun modo coinvolto nella produzione del corto e che la libertà di parola gli impediva di intervenire nella questione.

    Durante le proteste le ambasciate americane nelle capitali di Egitto e Tunisia erano state circondate dai manifestanti e al Cairo erano state anche bruciate alcune bandiere statunitensi.

    In Libia, le manifestazioni per il film contro Maometto avevano portato alla morte dell’ambasciatore americano a Bengasi, Chris Stevens, e all’arresto da parte delle forze dell’ordine libiche di alcuni sospettati.

    In quell’occasione, l’allora Segretario di Stato Hilary Clinton aveva condannato il video anti islamico, aggiungendo che non era comunque una valida giustificazione per il ricorso alla violenza fatto dai manifestanti.

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