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    Un marxista anti abortista e un conservatore dell’Opus dei: Ecuador e Perù alle urne in piena pandemia

    A sinistra: Guillermo Lasso. A destra: Pedro Castillo (ANSA)
    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 13 Apr. 2021 alle 14:52 Aggiornato il 14 Apr. 2021 alle 14:42

    Ecuador e Perù alle urne in piena pandemia

    Due Paesi delle Ande sono andati al voto per le elezioni presidenziali domenica 11 aprile: l’Ecuador e il Perù. Nel primo caso si trattava del ballottaggio, a Lima invece del primo turno, in cui si sono confrontati 18 candidati in vista del secondo, in programma il prossimo 7 giugno.

    In entrambi i Paesi i presidenti eletti dovranno far fronte alle conseguenze economiche della pandemia, che ha messo in luce le disuguaglianze e le vulnerabilità del sistema sociale. Come riporta il Washington Post, in Perù i contagi da Covid sono di nuovo in aumento, e le file di domenica scorsa non erano solo quelle composte da elettori: molti cittadini aspettavano di assicurarsi una bombola di ossigeno per curare i parenti infetti.

    Intanto lo spoglio è ancora in corso nel Paese andino, ma migliaia di schede sono state lasciate in bianco in segno di protesta: il malcontento è alle stelle dopo cinque anni in cui si sono alternati ben quattro presidenti diversi, di cui tre accusati di corruzione. La rabbia dei cittadini verso le autorità è poi aumentata in seguito allo scandalo che ha coinvolto centinaia di ufficiali di governo, i quali alla fine del 2020 si sono vaccinati contro il Covid per primi mentre migliaia di operatori sanitari in prima linea attendevano ancora la propria dose.

    L’Ecuador è attraversato da un simile livello di disincanto. “La classe media è stata devastata, nessuno mi rappresenta”, ha detto una elettrice prima del voto al Los Angeles Times. Ma a trionfare è stato il conservatore Guillermo Lasso, con il 52,5 per cento dei voti contro il candidato di sinistra, Andrés Arauz, che si è fermato al 47,5 per cento. La vittoria di Arauz al primo turno aveva lasciato sperare che anche in Ecuador potesse vincere la sinistra dopo il trionfo di Cristina Kirchner in Argentina e Luis Arce in Bolivia. Ma il partito dell’ex presidente Rafael Correa non può contare sulla stessa macchina organizzativa del kirchnerismo né sull’egemonia culturale del partito di Arce nella Bolivia di Morales.

    I risultati finali in Ecuador

    Ex banchiere di 65 anni, già candidato presidente nel 2013 e nel 2017, Lasso aveva perso in entrambe le occasioni. Nel 2012 aveva fondato il suo partito Creando Opportunità (CREO), di orientamento liberale e conservatore, ed è membro dell’organizzazione cattolica Opus Dei. Dopo l’annuncio della sua vittoria, ha tenuto un discorso pubblico nel quale ha menzionato moltissime volte Dio. “Chiedo a Dio che ci dia pazienza e certezza per raggiungere la felicità degli ecuadoriani”, e ha chiarito che durante la sua presidenza non verrà legalizzato in alcun modo l’aborto.

    “Parlo alle giovani donne incinte. Insieme a mia moglie vi proteggeremo, in modo che possiate proseguire la scuola, e poi andare all’università”, ha aggiunto. Secondo gli analisti la vittoria di Lasso è dipesa da fattori che poco c’entrano con il suo effettivo gradimento tra la popolazione. Il candidato ha beneficiato dell’astensione degli elettori indigeni e guadagnato terreno nelle settimane precedenti al voto per aver diffuso un messaggio più inclusivo, rinunciando agli attacchi contro gli avversari. Ma adesso in Congresso avrà difficoltà a portare avanti le liberalizzazioni promesse perché dovrà scontrarsi con l’opposizione di centro e di sinistra. “Per ottenere i voti, ha dovuto derogare a molte delle sue posizioni di politica economica, e ora è in debito con diversi settori economici del Paese”, ha detto al Wall Street Journal un consulente politico. “Questo potrebbe complicare la sua agenda”.

    Perù, com’è andato il primo turno

    Ancora più complicata la situazione in Perù, dove lo spoglio è ancora in corso ma i primi risultati si sono rivelati del tutto inaspettati. Tra la rosa dei 18 candidati alle presidenziali di domenica ad arrivare primo è stato il Marxista Pedro Castillo, dato al tre per cento fino a poche settimane fa. Castillo si dichiara comunista, vuole riscrivere la Costituzione e nazionalizzare l’industria dell’energia come in Venezuela, ma le sue posizioni in materia di diritti civili sono ultra conservatrici: è contrario all’aborto e alle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Il mix tra valori conservatori e una politica economica di estrema sinistra avrebbe incontrato il favore delle élite urbane in ascesa nel Paese.

    A confrontarsi con lui nel ballottaggio del 7 giugno dovrebbe essere la figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, Keiko, che fino a ieri era data all’11,9 per cento, a pochi punti di distacco dall’economista Hernando de Soto. Fujimori senior è in carcere per violazioni di diritti umani perpetrate durante il suo mandato e anche la figlia, populista di destra, nel 2016 era finita in prigione con l’accusa di riciclaggio di denaro. I sondaggi la davano per sconfitta, ma il suo cognome ha probabilmente sortito un effetto positivo nella base elettorale di destra.

    Adesso gli analisti temono che la presenza di un contendente di sinistra come Castillo al ballottaggio potrebbe rappresentare una minaccia per questa base, e far confluire molti voti verso Fujimori, la quale ha promesso di governare usando la “mano forte”, ma per vincere dovrà chiarire che questo non significa un ritorno agli anni della dittatura. Qualunque sia lo scenario per il secondo turno, il futuro presidente dovrà fare i conti con il panorama profondamente frammentato del Congresso, anch’esso rinnovato con le elezioni di domenica e a maggioranza di destra.

    Secondo gli esperti, tra le difficoltà economiche e la crisi pandemica, l’incertezza che attraversa il Paese si può solo aggravare. “Penso che lo scenario che abbiamo di fronte sia davvero spaventoso”, ha detto al New York Times Patricia Zárate, ricercatrice principale per l’Institute of Peruvian Studies, un’organizzazione di sondaggi. “Il Congresso sa di poter mettere sotto accusa il presidente. Ora sarà più facile destituirlo”. Come già accaduto a novembre scorso, quando il Perù ha cambiato tre presidenti in una settimana.

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