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    Dopo Kyoto

    La conferenza di Varsavia sul cambiamento climatico è giunta al termine. Ma molto poco è stato fatto

    Di Emanuele Rossi
    Pubblicato il 28 Nov. 2013 alle 14:34 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 19:11

    Dopo due settimane di colloqui, sabato scorso si è chiusa la 19sima riunione annuale dell’Unfccc (Convenzione quadro dell’ONU sul cambiamento climatico), tenutasi a Varsavia. I delegati hanno concordato le linee generali per un sistema di riduzione delle emissioni, che vedrà luce nella conferenza programmata per il 2015 a Parigi in sostituzione del moribondo Protocollo di Kyoto.

    La sensibilità dei partecipanti è stata scossa dai fatti legati al passaggio del tifone Haiyan nelle Filippine, ma a far calare il gelo ci ha pensato il Giappone, che ha dichiarato che non rispetterà gli obiettivi di emissioni previsti per il 2020 a causa di problemi economici. Le isole nipponiche pagano ancora le conseguenze del maremoto del 2011 e dell’incidente al reattore nucleare di Fukushima: ridurre le emissioni delle centrali a combustibili fossili dopo aver abbandonato l’energia nucleare (con la chiusura di tutti i reattori atomici) sarebbe troppo costoso. 

    Per tutto il tempo dei negoziati, è stata profonda la divisione tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Il problema è legato a una risoluzione inserita nella Convenzione del 1992, secondo cui i Paesi in via di sviluppo possono non rispettare i tagli alle emissioni in atmosfera. Gli Stati Uniti hanno sottolineato la necessità dell’eliminazione di tale deroga, soprattutto per realtà ormai a tutti gli effetti industrializzate, come Cina e India.

    Per questo motivo, le trattative sono state bloccate per oltre 30 ore, per poi arrivare a una soluzione last minute, poco prima della chiusura dei lavori. La Cina, infatti, non accettava che si parlasse di “impegni”, e questa era invece l’espressione inserita in un paragrafo del documento in discussione.

    Lo sblocco dei dialoghi è arrivato con la sostituzione della parola con il termine “contributi” alla riduzione delle emissioni di CO2, che le singole parti si impegneranno a presentare entro la data fissata. Il commissario UE per il Clima, Connie Hedegaard, ha sottolineato che la parola “contributo” permette maggiore flessibilità, ma garantisce ugualmente il lavoro univoco verso lo stesso obiettivo.

    Ma la soluzione in realtà è sembrata non troppo incisiva: Jennifer Morgan, direttore del programma clima ed energia presso il think thank World Resources Institute ha dichiarato al “New York Times“: «Penso che questo è quello di cui avevano bisogno per “muovere la palla in avanti”, ma non si può dire che la decisione abbia condotto a grandi nuove ambizioni».

    Se è vero che si sono fissati i presupposti per una futura intesa, è altrettanto vera l’analisi di Alden Mayer. Membro dell’associazione Union of Concerned Scientists – che si occupa di cambiamenti climatici, energia e sviluppo – Mayer ha detto all’”Associated Press“: «Purtroppo, non sono riusciti ad accordarsi su quale processo e quali criteri dovranno essere utilizzati per valutare l’adeguatezza e correttezza delle reciproche azioni proposte».

    Nel corso dei colloqui, è stato comunque fatto un passo in avanti nella direzione della “giustizia climatica”, con l’istituzione di un meccanismo “loss-and-damage”, che permetterà ai paesi interessati da eventi naturali catastrofici, riconducibili ai cambiamenti climatici – come nel caso del tifone Hayan – di accedere a fondi economici.

    La decisione di rinviare la discussione sugli obblighi dei paesi sviluppati verso i paesi poveri per le perdite legate agli effetti del cambiamento climatico ha generato molte polemiche.

    A nome dei Paesi del G77 e della Cina, il rappresentante del Bangladesh si è rammaricato del fatto che la conferenza sia rimasta al di sotto delle aspettative:

    «Siamo venuti con molta speranza a Varsavia, volevamo gettare le basi per l’accordo climatico del 2015 a Parigi, ma ci siamo allontanati dall’obiettivo principale: che succede con le persone come quelle del mio Paese? Che succede con quelle delle Filippine?».

    Critiche anche le associazioni ambientaliste e umanitarie, che hanno lasciato prima il tavolo delle trattative. La direttrice di Oxfam – organizzazione non governativa che lavora contro la povertà per uno sviluppo sostenibile – ha rimarcato che per il terzo anno consecutivo i Paesi membri hanno trovato un nuovo modo per «non dire assolutamente nulla». Mariagrazia Midulla, resposabile clima ed energia del Wwf Italia, ha definito il summit di un «livello bassissimo» e ha criticato la «propaganda al carbone fatta dal governo polacco».

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