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    Ricordando David Foster Wallace

    Quel suo discorso al Kenyon College che lo rende immortale. La passione per l'insegnamento e per il tennis. In ricordo della mente migliore della sua generazione

    Di Elena Brenna
    Pubblicato il 20 Feb. 2016 alle 20:58 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 03:16

    “La mente migliore della sua generazione”, così il New York Times ha definito lo scrittore statunitense David Foster Wallace, nato il 21 febbraio del 1962 e morto suicida il 12 settembre del 2008, all’età di 46 anni. 

    Il 21 maggio 2005, l’indimenticabile autore dell’Avantpop tiene il discorso per la cerimonia di laurea al Kenyon College, adattato nel libro Questa è l’acqua l’anno dopo la sua morte – avvenuta per suicidio nel 2008.

    Con la prefazione di Don DeLillo, il volume raccoglie inoltre cinque racconti pubblicati tra 1987 e il 1991: Solomon SilverfishAltra matematicaIl pianeta Trillafon in relazione alla Cosa BruttaCrollo del ’69 Ordine e fluttuazione a Northampton. A entrare nella storia è però il suo discorso, anche per i nuovi significati assunti dopo la sua morte.

    A pochi giorni dall’uscita del film The End of the Tour – che racconta i cinque giorni trascorsi nell’inverno del 1996 da David Lipsky, giornalista di Rolling Stone, fianco a fianco con Wallace durante le ultime tappe del suo tour promozionale per Infinite Jest – si ripropone proprio quel discorso.

    Lo si fa a dispetto di tutti gli articoli pubblicati in queste settimane contro il culto di Wallace e a come – dopo il suo suicidio – lo si sia trasformato in un cliché al pari delle rockstar, riconsegnandolo ai posteri esattamente in quella forma che egli stesso disprezzava.

    Lo si ripropone – nei suoi passaggi più significativi – pur credendo che, sì, questo culto è uno sbaglio ma, che lo si voglia o meno, Wallace rimane un mito letterario, un uomo dalla mente geniale le cui parole non andrebbero in alcun modo evitate, ma esaltate.

     

    Il lungo, illuminate e acuto discorso inizia con la storiella dei pesci, che dà il titolo al libro, di cui lo scrittore spiega il significato: 

     

    Un saluto a tutti e le mie congratulazioni alla classe 2005 dei laureati del Kenyon College. Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”

    Se abbiamo fatto l’errore di trasformare David Foster Wallace in un cliché – che tanto odiamo – cliché che piacciono ancora meno a scrittori generazionali come lui, è anche vero che frequentando gli Alcolisti Anonimi, Wallace una lezione la impara. Una lezione che diventa il punto di partenza del suo discorso e del suo codice morale: qualcosa non è necessariamente falsa solo perché è un luogo comune. I cliché, infatti, come scrive Elizabeth Lopatto analizzando il discorso, sono «saggezza umana accumulata»: 

     

    […] Se vi state preoccupando che io pensi di presentarmi qui come il vecchio pesce saggio, spiegando cosa sia l’acqua a voi giovani pesci, beh, vi prego, non fatelo. Non sono il vecchio pesce saggio. Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare. Espresso in linguaggio ordinario, naturalmente diventa subito un banale luogo comune, ma il fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti, i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di morte, o meglio, è questo ciò che vorrei cercare di farvi capire in questa piacevole mattinata di sole.

     

    […] Lasciatemi esaminare il più diffuso stereotipo nei discorsi fatti a questo tipo di cerimonie, ossia che che la vostra educazione umanistica non consista tanto “nel fornirvi delle conoscenze”, quanto “nell’insegnarvi a pensare”.

     

    […]

     

    Il punto che vorrei sottolineare qui è che credo che questo sia una parte di ciò che vuole realmente significare insegnarmi a pensare. A essere un po’ meno arrogante. Ad avere anche solo un po’ di coscienza critica su di me e le mie certezze. Perché una larga percentuale di cose sulle quali tendo a essere automaticamente certo risulta essere totalmente sbagliata e deludente. Ho imparato questo da solo e a mie spese, e così immagino sarà per voi una volta laureati.

     

    […]

     

    Wallace si rivolge al giovane pubblico di neolaureati, ma è prima a se stesso che parla. Al fantasma giovane di Dave impartisce la lezione su ciò che ha imparato lungo la difficile e tormentata vita fino ad allora vissuta, segnata dalla dipendenza, dalla depressione, dai ricoveri. Questo è uno dei più grandi errori che io abbia fatto, ricorda a se stesso, quello di perdere di vista la realtà quotidiana e focalizzarmi su concetti astratti che vivono solo nella mia mente: 

     

    Probabilmente la più pericolosa conseguenza di un’educazione accademica, almeno nel mio caso, è che ha permesso di svilupparmi verso della roba super-intellettualizzata, di perdermi in argomenti astratti dentro la mia testa e, invece di fare semplicemente attenzione a ciò che mi capita sotto al naso, fare solo attenzione a ciò che capita dentro di me.

     

    Lo scrittore mette in guardia sulla tendenza umana a sottovalutare, o pensare in modo sbagliato e sé-centrico, le banalità quotidiane della vita. Farlo, sottintende, può condurre alla vita tanto quanto alla morte. La morte a cui così umanamente e lievemente si riferisce è il suicidio. Un atto che può essere causato dalle più banali e sottovalutate sfide della vita adulta:

    […] “imparare a pensare” vuol dire in effetti imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso all’esperienza. Perché, se non potrete esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora sarete veramente nei guai. […] Non a caso gli adulti che si suicidano con armi da fuoco quasi sempre si sparano alla testa. Sparano al loro pessimo padrone. E la verità è che molte di queste persone sono in effetti già morte molto prima di aver premuto il grilletto.

     

    […] nessuno parla mai, in queste cerimonie delle lauree, di una grossa parte della vita adulta americana. Questa parte include la noia, la routine e la meschina frustrazione. I genitori e i più anziani tra di voi sapranno anche troppo bene di cosa sto parlando.

    Nella foto qui sotto: David Foster Wallace 


     

    Così porta ad esempio il luogo comune più abusato, quello che descrive la frustrazione e la tristezza a cui l’uomo adulto medio va incontro: le dieci ore di lavoro, il tempo perso bloccati nel traffico, il frigo vuoto e la corsa al supermercato, trovarsi rallentati da una folla e da code interminabili per mangiare un pasto frugale, addormentarsi e ricominciare tutto poche ore dopo. Wallace esplora la noia e la routine snervante che la maggior parte delle persone vivono quotidianamente, anno dopo anno, per tutta la vita, rendendole infelici: 

    […] Il punto è che è proprio con stronzate meschine e frustranti come questa che interviene la possibilità di scelta. Perché il traffico e le corsie affollate del supermercato e la lunga coda alla cassa mi danno il tempo di pensare, e se io non decido in modo meditato su come pensare e a cosa prestare attenzione, sarò incazzato e infelice ogni volta che andrò a fare la spesa. Perché la mia naturale configurazione di base è la certezza che situazioni come questa riguardino solo me. La mia fame e la mia stanchezza e il mio desiderio di andarmene a casa, e mi sembrerà che ogni altra persona al mondo stia lì ad ostacolarmi. E chi sono poi queste persone che mi ostacolano? E guardate come molti di loro sono repellenti, e come sembrano stupidi e bovini e con gli occhi spenti e non-umani nella coda alla cassa, o anche come è fastidioso e volgare che le persone stiano tutto il tempo a urlare nei loro cellulari mentre sono nel mezzo della fila. E guardate quanto tutto ciò sia profondamente e personalmente ingiusto.

     

    Oppure, se la mia configurazione di base è più vicina alla coscienza sociale e umanistica, posso passare un bel po’ di tempo nel traffico di fine giornata a essere disgustato da tutti quei grossi, stupidi SUV e Hummers e furgoni con motori a 12 valvole, che bloccano la strada e consumano il loro costoso, egoistico serbatoio da 40 galloni di benzina […] Avete capito l’idea.

    Ma Wallace dà anche un consiglio su come fare i conti con la realtà di tutti i giorni e superarla. Ed è tutta una questione di scelta: scegliere in cosa credere, a cosa pensare, a come farlo e a chi mettere al centro del nostro pensare. Sta tutto nello sfuggire dalla configurazione di base del proprio pensare:

    […] pensare in questo modo diventa nel tempo così facile e automatico che non è più nemmeno una vera scelta. Diventa la mia configurazione di base. È questa la modalità automatica in cui vivo le parti noiose, frustranti, affollate della mia vita da adulto, quando sto operando all’interno della convinzione automatica e inconscia di essere il centro del mondo, e che i miei bisogni e i miei sentimenti prossimi sono ciò che determina le priorità del mondo intero.

    In realtà, naturalmente, ci sono molti modi diversi di pensare in questo tipo di situazioni. […] posso sforzarmi di considerare la possibilità che tutti gli altri nella fila alla cassa del supermercato siano stanchi e frustrati come lo sono io, e che alcune di queste persone probabilmente abbiano una vita molto più dura, noiosa e dolorosa della mia.

    […]

    Se siete automaticamente sicuri di sapere cos’è la realtà, e state operando sulla base della vostra configurazione di base, allora voi, come me, probabilmente non avrete voglia di considerare possibilità che non siano fastidiose e deprimenti. Ma se imparate realmente a concentrarvi, allora saprete che ci sono altre opzioni possibili. Avrete il potere di vivere una lenta, calda, affollata esperienza da inferno del consumatore, e renderla non soltanto significativa, ma anche sacra, ispirata dalle stesse forze che formano le stelle: amore, amicizia, la mistica unità di tutte le cose fuse insieme. Non che la roba mistica sia necessariamente vera. La sola cosa che è Vera con la V maiuscola è che sta a voi decidere di vederlo o meno.

    In conclusione, Wallace dà il meglio di sé con parole che restano ancora oggi immortali e hanno reso il discorso uno dei più celebrati e riconosciuti nella storia dei commencement speech. La sola cosa da fare è leggere la sua saggezza tutta d’un fiato, e comprenderla da sé e per sé:

    Questa, credo, sia la libertà data da una vera educazione, di poter imparare ad essere “ben adattati”. Voi potrete decidere con coscienza che cosa ha significato e che cosa non lo ha. Potrete scegliere in cosa volete credere. Ed ecco un’altra cosa che può sembrare strana, ma che è vera: nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti non c’è posto per una cosa come l’ateismo. Non è possibile non adorare qualche cosa. Tutti credono. La sola scelta che abbiamo è su che cosa adorare. E forse la più convincente ragione per scegliere qualche sorta di dio o una cosa di tipo spirituale da adorare […] è che praticamente qualsiasi altra cosa in cui crederete finirà per mangiarvi vivo. Se adorerete il denaro o le cose, se a queste cose affiderete il vero significato della vita, allora vi sembrerà di non averne mai abbastanza. È questa la verità. Adorate il vostro corpo e la bellezza e l’attrazione sessuale e vi sentirete sempre brutti. […] Adorate il potere, e finirete per sentirvi deboli e impauriti, e avrete bisogno di avere sempre più potere sugli altri per rendervi insensibili alle vostre proprie paure. Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di queste forme di adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono inconsce. Sono la configurazione di base.

    […]

    E il cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall’operare con la configurazione di base, poiché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. […] La libertà del tipo più importante richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni giorno in una miriade di modi insignificani e poco attraenti.

    Questa è la vera libertà. Questo è essere istruiti e capire come si pensa. L’alternativa è l’incoscienza, la configurazione di base, la corsa al successo, il senso costante e lancinante di aver avuto, e perso, qualcosa di infinito.

    […] Niente di questa roba è sulla morale o la religione o il dogma o sul grande problema della vita dopo la morte. La Verità con la V maiuscola è sulla vita prima della morte. È sul valore reale di una vera istruzione, che non ha quasi nulla a che spartire con la conoscenza e molto a che fare con la semplice consapevolezza, consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben nascosto, ma in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non dobbiamo smettere di ricordarci più e più volte: “Questa è acqua, questa è acqua.”

    QUI SOTTO IL VIDEO DEL DISCORSO DI DAVID FOSTER WALLACE AL KENYON COLLEGE 

     

    L’articolo è stato originariamente pubblicato sul sito Spunti di Mezzanotte, con cui TPI collabora

    Spunti di Mezzanotte nasce come blog nel marzo 2015 da un’idea della scrittrice italiana Elena Brenna, per raccogliere quei semi creativi che lungo il suo percorso personale l’hanno formata. Due mesi dopo, il blog viene rilanciato come sito web dedicato alla creatività e alla conoscenza più insolita. Il motto del progetto è: “Leggete, ascoltate, osservate, trasformate, create. Siate curiosi, l’intelligenza non esiste. Nasciamo tutti con le stesse potenzialità mentali, l’intelligenza è solo lo stato raggiunto da una mente curiosa”.

    Elena Brenna è una scrittrice italiana ed ex fotografa. Nel 2012 ha co-fondato, e co-diretto fino al 2015, il primo quotidiano online internazionale per gli italiani a Berlino, Il Mitte. Oggi lavora come content manager & strategist per un’agenzia di comunicazione, ha pubblicato indipendentemente il suo primo romanzo, Agnes, e ha fondato il sito web Spunti Di Mezzanotte, di cui è curatrice unica. Ha la causa Lgbt nel cuore, crea suoni, traccia linee ed è un’acuta osservatrice. Seguila su Twitter: @_elenabrenna 

     

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