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    Cosa cambia per le Nazioni Unite dopo la Brexit

    Il Regno Unito e l'UE dovranno abituarsi ad una collaborazione meno stretta anche alle Nazioni Unite: il rischio è una perdita di peso negoziale per entrambi

    Di Elia Francesco Nigris
    Pubblicato il 22 Lug. 2016 alle 10:37 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:10

    Dopo la decisione del popolo britannico di votare a favore della Brexit,
    l’impatto e le conseguenze di tale decisione si sentiranno anche in ambito
    onusiano. Come e quanto è ancora da capire, ma la sensazione, purtroppo, è che sarà
    un affaire svantaggioso per entrambi.

    Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2011 e la costituzione
    del SEAE (Servizio Europeo per l’Azione Esterna), l’Unione Europea aveva
    ottenuto, grazie ad una risoluzione ad hoc,
    uno status all’ONU di Osservatore Permanente “potenziato”, con diritto di
    parola nei dibattiti in Assemblea Generale e nelle Commissioni, potendo proporre
    risoluzioni ed emendamenti, avendo il diritto di far circolare documentazione
    tra gli stati membri e di replica durante i dibattiti e così via.

    Inoltre, l’UE, coadiuvata da alcuni diplomatici degli stati membri, i
    cosiddetti burden sharers, spesso
    negozia in prima persona,dopo coordinamenti interni mirati a definire una posizione
    comune tra i 28, alcune tra le risoluzioni più importanti in seno all’ONU, dal
    bilancio fino all’antiterrorismo, dai diritti umani allo sviluppo sostenibile.

    L’UE, insomma, ha un peso specifico molto forte al Palazzo di Vetro. Basti
    pensare che i 28 sono insieme i maggiori contributori al bilancio
    dell’Organizzazione: circa il 40 per cento di quello generale e di quello delle
    missioni di pace (gli Stati Uniti, secondi in questa particolare classifica,
    contribuiscono con una quota fissa del 22 per cento).

    Gli unici diritti che l’UE non ha all’ONU, rispetto ad altri stati membri,
    sono quello di voto (ma come detto i 28 votano perlopiù compatti) e la
    possibilità di proporre proprie candidature e candidati. L’UE non può quindi
    candidarsi autonomamente per un seggio non-permanente in Consiglio di
    Sicurezza, per esempio.

    Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea le questioni più spinose
    saranno dunque le seguenti: quanto peso specifico perderà l’UE nei negoziati
    all’ONU? Quanto peso specifico guadagnerà, sempre che ne guadagni, il Regno
    Unito? E per quanto riguarda la situazione in Consiglio di Sicurezza, come
    cambieranno le cose?

    La risposta alla prima domanda è che l’UE perderà effettivamente peso
    negoziale, ma non troppo. Germania, Francia e Italia sono ancora tra i maggiori
    contributori al bilancio ONU, mentre Svezia, e Paesi Bassi sono tra quelli che
    più contribuiscono con donazioni volontarie alle varie agenzie, per esempio.

    L’UE, inoltre, potrà ancora contare su 27 voti compatti nelle risoluzioni
    più delicate, e continuerà a vantare una presenza fissa in Consiglio di
    Sicurezza grazie al seggio permanente francese e quelli non permanenti dei vari
    membri che si candidano a rotazione. Per esempio, l’anno prossimo, oltre alla
    Francia, l’Italia e la Svezia rappresenteranno l’UE nel Consiglio.

    L’anno successivo, i Paesi Bassi prenderanno il posto dell’Italia e si
    aggiungerà, dal gruppo dei paesi dell’Est Europa, uno tra Polonia e Bulgaria al
    posto dell’uscente Ucraina; l’anno ancora dopo, verosimilmente, la Francia
    verrà affiancata da Germania e Belgio (sempre che Israele non riesca nella
    storica impresa di assicurarsi un seggio, che ad oggi pare comunque lontano)
    oltre, appunto, a Polonia o Bulgaria.

    Per quanto riguarda la seconda domanda, la risposta è più incerta. È
    probabile che nel breve periodo il Regno Unito guadagni del peso negoziale,
    avendo più libertà di esprimere le proprie posizioni non filtrate dalla mediazione
    in seno ai coordinamenti UE e mantenendo una voce più indipendente in Consiglio
    di Sicurezza, dove comunque sembra difficile che le posizioni britanniche si
    discosteranno molto da quelle di Francia e Stati Uniti. Non va però
    sottovalutato che a lungo termine il Regno Unito rischia di trovarsi isolato e
    di faticare ad influenzare il dibattito in tutte le attività
    dell’Organizzazione.

    Gli Stati Uniti mantengono – ça va
    sans dire
    – un’autorevole voce autonoma, ma investono risorse molto
    maggiori rispetto al Regno Unito nella loro attività onusiana. Basti pensare
    che, esclusi stagisti e personale amministrativo, gli Stati Uniti hanno uno
    staff di circa 160 persone all’ONU, tra diplomatici e attaché (fonte: Blue Book delle Nazioni Unite).

    Il Regno Unito, d’altra parte, ne ha poco più di 40. L’UE senza dubbio ha
    permesso al Regno Unito di ottimizzare per anni le risorse investite, mentre
    ora i diplomatici britannici si troveranno a negoziare da soli, senza poter
    fare burdensharing e senza avere
    accesso ad un network immenso di informazioni.

    Insomma, o Londra deciderà di aumentare lo staff a New York (con un
    significativo aumento dei costi annessi), oppure sarà molto difficile riuscire
    a seguire ogni dossier con l’attenzione che merita. Certo, la Gran Bretagna potrà
    eventualmente unire le forze con i cosiddetti CANZ (Canada, Australia e Nuova Zelanda),
    paesi likemanded che talvolta
    negoziano insieme, ma una struttura efficiente come quella UE sarà ben
    difficile da sostituire, specie per un paese che da Membro Permanente del CdS
    deve necessariamente “lavorare” più di altri.

    Arriviamo dunque all’ultimo quesito: come cambierà la situazione in
    Consiglio di Sicurezza? Qui appare sinceramente difficile fare una previsione.
    Il Regno Unito, come detto in precedenza, non si discosterà molto dalle
    tradizionali posizioni dei P3, senza contare che nel Consiglio, Regno Unito e
    Francia già davano priorità agli interessi nazionali, anziché a quelli
    comunitari.

    Va comunque segnalato che la Brexit potrebbe dare nuova linfa al processo
    di riforma del Consiglio di Sicurezza, ora essenzialmente fermo: per quale
    motivo il Regno Unito, fuori dalla dimensione UE, dovrebbe meritare un seggio
    permanente, mentre non ne hanno diritto Giappone, India o Germania? Perché
    nessuno stato membro del Gruppo Africano o del Gruppo dei Paesi
    Latino-Americani e Caraibi è rappresentato in maniera permanente nel Consiglio,
    mentre lo è un Paese likeminded che
    poco si discosta dalle posizioni di Francia e Stati Uniti?

    È possibile accettare che un paese la cui proiezione internazionale è stata
    ridimensionata dalla Brexit (e dalla storia) sia uno dei soli 5 su 193 a
    possedere un diritto di veto? Non è inverosimile immaginare che molti stati membri
    dell’ONU si pongano queste domande e chiedano un cambio di rotta. 

    L’UE ne potrebbe uscire ugualmente indebolita: si allontana, forse
    addirittura scompare, la possibilità di avere un seggio UE in Consiglio di
    Sicurezza, mentre il peso francese nelle questioni di Sicurezza internazionale
    potrebbe aumentare significativamente all’interno dell’Unione senza il
    contraltare britannico.

    Certo, l’UE continuerà ad essere ampiamente rappresentata nel Consiglio, ma
    è comunque difficile immaginare che Bruxelles possa acquisire del peso da
    questa situazione, mentre può solo perderne.

    Insomma, come per la Brexit in generale, anche in ambito ONU sembrerebbe
    che, sebbene gli effetti collaterali non dovrebbero essere devastanti per
    entrambi, ci troviamo comunque di fronte a una lose-lose situation. Peccato.

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