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    La coppia irachena premiata per aver salvato centinaia di schiave yazide dall’Isis

    L'avvocato Khaleel al-Dakhi e la moglie Ameena Saeed Hasan hanno rischiato la loro vita per salvare circa 170 ragazze dai miliziani del sedicente Stato islamico

    Di Giulio Gambino
    Pubblicato il 24 Ott. 2016 alle 13:02 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:32

    Mentre va in scena l’offensiva finale lanciata dalle forze irachene e curde per liberare la città di Mosul dal controllo dell’Isis, arriva la notizia di una coppia di iracheni insignita di un prestigioso riconoscimento per aver salvato circa 170 schiave yazide dai miliziani del sedicente Stato islamico.

    L’avvocato Khaleel al-Dakhi e la moglie Ameena Saeed Hasan sono stati premiati il 19 ottobre a New York con lo Human Rights First Awardistituito dall’organizzazione no-profit per i diritti umani di base negli Stati Uniti Human Rights First. Il riconoscimento viene assegnato a personalità di valore che si sono distinte per il loro impegno umanitario.

    La coppia ha intrapreso la pericolosa missione di salvataggio due anni fa, dopo essere venuta a sapere che l’Isis stava rapendo e schiavizzando donne e bambine yazide in Iraq.

    Per raccogliere maggiori informazioni sulle giovani scomparse, i due hanno organizzato delle visite in alcuni campi profughi nel Kurdistan iracheno. Durante una di queste ispezioni, al-Dakhi ha incontrato una coppia di rifugiati, la cui figlia di 17 anni era stata rapita dal gruppo islamista. 

    I genitori, che erano riusciti a mantenere i contatti con la figlia, hanno dato un telefono all’avvocato, così che potesse parlare con la ragazza. “Mi hanno lasciato un numero di cellulare. All’altro capo del telefono una giovane voce chiedeva aiuto”, ha raccontato al-Dakhi nel corso della cerimonia di premiazione. “La sentivo piangere e diceva che voleva suicidarsi. Così le ho promesso che l’avrei aiutata”.

    Qualche giorno dopo la telefonata, al-Dakhi ha radunato un gruppo di collaboratori ed è riuscito a liberare la ragazza, Maha, facendola uscire di nascosto dalla città irachena di Mosul, dov’era tenuta prigioniera.

    Da allora il giovane avvocato e la moglie hanno messo in piedi una vera e propria operazione clandestina, facendo del salvataggio delle giovani yazide la loro missione di vita e creando, giorno dopo giorno, una rete sempre più fitta di contatti e collaboratori.

    Attraverso un network di cellulari sicuri e grazie all’appoggio di persone fidate, marito e moglie sono riusciti a liberare circa 170 donne yazide dalle mani dei miliziani del sedicente Stato islamico. 

    “Io e i miei collaboratori, alcuni arabi sunniti, riusciamo a metterci in contatto con le persone da salvare grazie a una rete di telefoni cellulari sicuri. Poi, una volta localizzate, decidiamo come raggiungerle. Solitamente il tutto avviene di notte”, ha raccontato al-Dakhi

    Ogni operazione di salvataggio comporta una pianificazione estremamente precisa, complici e autisti disposti a mettere a repentaglio la propria vita, e strutture sicure per nascondere le ragazze durante il loro trasferimento.

    L’intero processo che sta dietro a ogni salvataggio ha un costo che va dai 3mila e i 10mila dollari, denaro che proviene soprattutto dalle autorità curde irachene, come riferisce l’avvocato. 

    “Abbiamo salvato centinaia di donne, ma ne ricordo una in particolare, Layla: quando arrivammo da lei i suoi occhi erano sgranati per la paura. Non ci fermiamo mai”, ha raccontato l’uomo.

    Al-Dakhi ha rivelato che le costanti operazioni condotte tra la vita e la morte portano con loro un pesante carico emotivo: “È estremamente difficile sentire qualcuno dire che ha bisogno di essere salvato e (tu) non puoi aiutarli, specialmente quando si tratta di donne”, ha raccontato l’avvocato. “All’inizio non riuscivo a gestire la cosa, non riuscivo a dormire la notte”.

    Oggi la coppia di iracheni è diventata un vero e proprio punto di riferimento per molte famiglie yazide. Gli yazidi, una setta religiosa le cui credenze combinano elementi di diverse antiche religioni del Medio Oriente, sono vittima di persecuzioni da parte del sedicente Stato islamico perché ritenuti infedeli, al punto che le donne incinte vengono costrette ad abortire i figli che portano in grembo.

    I due sono consapevoli della concreta ipotesi di finire nel mirino dei gruppi estremisti e del rischio di attentati alla loro vita, anche se ora vivono nella città irachena di Dohuk, ritenuta relativamente sicura.

    I miliziani dell’Isis hanno ucciso, catturato o ridotto in schiavitù migliaia di yazidi dopo aver invaso la città di Sinjar, nel nord dell’Iraq, nell’agosto del 2014. 

    Gli Stati Uniti, il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa hanno condannato le azioni del gruppo estremista contro gli yazidi come genocidio.

    Secondo una stima delle Nazioni Unite, più di 3mila donne e ragazze yazide si trovano ancora nelle mani dell’Isis, alcune come schiave sessuali.

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