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    La vita dei contadini nepalesi dopo il terremoto

    In seguito al terremoto dello scorso 25 aprile, molti contadini in Nepal hanno perso completamente i loro raccolti e vivono in condizioni di assoluta precarietà

    Di TPI
    Pubblicato il 30 Lug. 2015 alle 18:46 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 12:37

    Si accorse delle prime scosse quando tutti i cani del villaggio cominciarono ad abbaiare. Quando la terra iniziò a tremare, Budhman Ram Bahadur, un contadino nepalese di 65 anni, stava lavorando in un campo di mais.

    Se il terremoto fosse avvenuto durante la notte, saremmo tutti morti”, ha detto Bahadur al quotidiano britannico The Guardian. La sua casa, realizzata con fango e pietra, crollò completamente, ma Bahadur e la sua famiglia si trovavano nei campi, e si salvarono. 

    Il 25 aprile 2015 un sisma di magnitudo 7.8 ha colpito il Nepal, uccidendo oltre 8.800 persone. È stato il peggior sisma nel Paese negli ultimi 80 anni.

    L’epicentro del terremoto è stato localizzato nei pressi del villaggio dove vive Bahadur, nel distretto di Gorkha, nel Nepal occidentale.

    Bahadur fa parte dei Dalit, la casta dei cosiddetti intoccabili, il gradino più basso nella gerarchia sociale del mondo induista. Dalit sono tra i più poveri in Nepal e, in genere, sono anche gli ultimi a ricevere assistenza dopo un disastro naturale. 

    Bahadur a tal proposito ha dichiarato che la sua comunità ha ricevuto aiuti alimentari ma non sussidi economici: “Non so come farò a superare la stagione dei monsoni”, aggiunge.

    Inoltre, la maggior parte degli agricoltori della casta Dalit coltiva terreni che non gli appartiene e riceve in cambio meno della metà del raccolto.

    Da quando la loro casa è stata distrutta, la famiglia di Bahadur vive in una capanna di fortuna fatta di legno e lamiera. Nelle vicinanze altre famiglie appartenenti alla casta dei Dalit vivono in tende costruite con fogli di plastica.

    Nel corso di un summit sulla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto in Nepal, tenutosi lo scorso 25 giugno nella capitale Kathmandu, numerosi donatori internazionali – tra cui Cina e India in prima linea – hanno promesso prestiti e aiuti umanitari per un valore di circa 2,7 miliardi di euro.

    Ma nonostante gli aiuti della comunità internazionale, per i contadini nepalesi – soprattutto i più poveri come Bahadur – la vita dopo il terremoto continua a essere particolarmente dura.

    Molti animali sono morti durante il sisma, i raccolti sono stati distrutti, i terreni sono franati, e molti agricoltori hanno perso le riserve di cibo e le sementi conservate nelle abitazioni.

    Il sisma ha inoltre fatto scomparire i sentieri di montagna, utilizzati dagli abitanti per andare da un villaggio all’altro o per recarsi nei campi coltivati lungo i pendii delle montagne.

    Secondo i dati del ministero dello Sviluppo Agricolo nepalese, il settore agrario – che rappresenta il 34 per cento del Pil del Paese – ha subìto perdite di bestiame e di prodotti agricoli per un valore di oltre 10 miliardi di rupie, equivalenti a circa 90 milioni di euro.

    Di questi, quasi 70 milioni di euro sono stati persi in seguito alla distruzione delle riserve di grano conservate nelle abitazioni crollate durante il terremoto. 

    Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) servirebbero almeno 18 milioni di dollari per aiutare i contadini nepalesi a riprendere le loro attività dopo il terremoto. 

    “Ho perso il mio bue, l’aratro, la falce e altri attrezzi agricoli. Avevo 300 chili di riso, grano e mais per i prossimi mesi, ma sono tutti sotto i detriti, e non so come potrò sopravvivere e coltivare un nuovo raccolto”, ha detto all’International federation of agricultural journalists (Ifaj) Rambahadur Bomjon, un contadino della provincia di Dolakha, nella parte orientale del Nepal.

    “Dovremmo iniziare a piantare il riso ora, ma il terremoto ha aperto delle crepe nella montagna e la gente ha paura”, racconta Bahadur al The Guardian.

    Infatti, soprattutto durante la stagione dei monsoni – che si abbatte sul Paese da circa metà giugno fino alle fine di settembre – il rischio di frane è molto alto e per questo i contadini sono spaventati all’idea di dover andare a lavorare nei campi.

    Giovedì 30 luglio le frane in una zona montuosa del Nepal occidentale avrebbero sepolto almeno due villaggi, uccidendo 15 persone, secondo quanto riporta The Guardian. Le autorità locali hanno riferito che le comunità colpite dalle frane potrebbero essere molte di più.

    Il ministero nepalese ha riferito che quando la frana innescata dalle forti piogge ha investito il villaggio di Lumle – a circa 200 chilometri a ovest di Kathmandu – almeno 11 persone sarebbero rimaste uccise. Inoltre, nel villaggio di Dudhe – nei pressi della comunità di Lumle – sono stati recuperati altri quattro corpi.

    Un funzionario del villaggio di Dudhe, Bhesh Raj Parajuli, ha detto che i due ponti che collegano le rispettive comunità sono stati spazzati via dall’inondazione

    Nel villaggio di Neupane, nel distretto di Gorkha del Nepal occidentale, anche per Bel Kumari Gurung, un contadino di 53 anni, la preoccupazione principale rappresenta l’arrivo della stagione dei monsoni. Anche Gurung oggi vive in una tenda, nei pressi della sua vecchia abitazione distrutta dal terremoto. 

    L’unica salvezza per Gurung rimane il figlio, che lavora in un ristorante in India e che gli invierà i soldi per ricostruire la sua casa: “Avrei potuto usare il suo aiuto nei campi, ma i soldi che guadagna adesso saranno utili”, ha detto al The Guardian.

    La già difficile situazione del Nepal è resa ancora peggiore da un esodo massiccio di giovani verso l’India, la Malesia e altri Paesi del Medio Oriente.

    Molti villaggi nepalesi sono rimasti a corto di braccianti che si dedichino alla ricostruzione del Paese. Secondo le stime del dipartimento del Nepal per l’occupazione straniera, quasi 500mila nepalesi lasciano il Paese ogni anno.

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