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    L’impresentabile sfida tra la Clinton e Trump

    L'analisi di Alessandro Albanese Ginammi dagli Stati Uniti il giorno dopo la nomination di Hillary Clinton

    Di Alessandro Albanese Ginammi
    Pubblicato il 27 Lug. 2016 alle 12:10 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:50

    Il 28 luglio si concluderà la Convention nazionale dei democratici a Filadelfia. Hillary Clinton forse ce la farà, ma lei e Bill sono meno credibili di Claire e Frank Underwood. Per chi ha visto la serie House of Cards: Hillary è Claire, Bill è Frank, Putin è Petrov e la Albright sembra Cathy Durant.

    Poco prima di Bill parla proprio l’ex Segretaria di Stato Madeleine Albright, che elogia Hillary per la sua bravura durante la presidenza Obama (pare che nessuno si ricordi i disastri causati dalla Clinton in Siria).

    La Albright attacca Trump. Dice che Putin lo vuole vincitore. Eleggere Trump significa fare un favore alla Russia e – da veterana anti-Comunista – sottolinea il pericolo di dare a Mosca ciò che vuole.

    Per introdurre Bill viene proiettato un video promozionale. Si tratta di un breve documentario dove alcuni americani elogiano l’ex Presidente per i suoi pregi e la sua grande umanità. Il messaggio recita: Bill è uno di cui ci si può fidare, un Presidente che ha reso grande l’America.

    Poi arriva Bill, l’umanizzatore. Parla in modo confidenziale. Racconta la storia di quando lui e Hillary si sono conosciuti da giovani. Lei era una studentessa modello, frequentavano insieme la lezione sui diritti umani. Al primo incontro in biblioteca lei fece la parte della donna che non deve chiedere mai, lui dice di essere rimasto senza parole. Da quel momento, Bill ebbe in mente solo una cosa (tutti ridono).

    Bill racconta la sua esperienza da padre. Descrive Chelsea Clinton da piccola, poi da grande, sempre e comunque orgoglio di mamma e papà. Si parla di scuola, bambini e diritti – Hillary è molto brava con i bambini e si è sempre battuta per i loro diritti. Insomma, i cambiamenti portati dai Clinton hanno permesso agli americani di vivere meglio. Sembra essere una certezza condivisa.

    Dal nulla si fa il nome di Robert Kennedy e la folla gioisce. Poi si parla con vigore di lavoro e delle tante cose buone che Hillary ha fatto nel mondo, anche in Medio Oriente (proprio nessuno si ricorda dei disastri in Siria).

    Arriva improvvisamente l’attacco: Trump è un costruito, un “Cartoon”. Hillary è vera, “The Real One”, la “Change Maker”. L’appello a tutta l’America, senza discriminazioni: “se sei musulmano, resta in America, noi ti vogliamo; se sei afro-americano, Hillary ti proteggerà”. God Bless America.

    Arriva Maryl Streep, grande attrice. Viene chiamata per dire soltanto che Hillary è la prima donna nella storia degli Stati Uniti a essere ufficialmente candidata alla Casa Bianca. Poi partono i Beatles.

    Entra Alicia Keys, che canta mentre arriva la “Change Maker”. Hillary appare via satellite, Live da New York, circondata da bambini.

    Chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti

    Il Professor Michael J. Sodaro della George Washington University mi ha detto di essere sicuro: Hillary ce la farà. “Trump se la giocherà fino all’ultimo voto, ma i repubblicani non riusciranno ad avere tutti gli Stati necessari per battere i democratici. Trump è così aggressivo perché rappresenta perfettamente il suo elettorato frustrato. Quello della classe media dei bianchi americani, destinato alla sconfitta”.

    Secondo Sodaro, i repubblicani di Trump sono arrabbiati perché sanno in cuor loro che probabilmente questa sarà l’ultima elezione dove numericamente costituiscono ancora la maggioranza degli americani.

    Sodaro sostiene che dalle prossime elezioni la minoranza afro-americana e quella latina smetteranno di essere minoranze in America, diventeranno maggioranze e voteranno sempre per i democratici.

    Donald Trump è obiettivamente un personaggio ridicolo e spaventoso allo stesso tempo, ma sulla testa della Clinton pesa uno dei peggiori disastri della politica estera americana, quello in Siria. La sua politica come Segretaria di Stato è stata apertamente interventista e poco lungimirante.

    Dopo aver lasciato l’incarico nel 2013, Hillary ha personalmente riconosciuto gli scarsi risultati ottenuti in Siria: “L’incapacità di formare una credibile forza combattente, a partire dalle persone che avevano dato origine alle proteste contro il presidente Assad, ha lasciato un vuoto di potere che è stato riempito dai jihadisti”.

    Il suo fallimento consiste di fatto nell’aver tollerato che la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita sostenessero con armi e finanziamenti il progetto per sovvertire la fragile rivoluzione non violenta anti-Assad e rimpiazzarla con una rivolta armata il cui vero obiettivo era instaurare uno stato islamico sunnita e non una democrazia laica.

    Obama e Hillary Clinton sono entrambi responsabili del fatto che gli Stati Uniti abbiano preso parte a quest’operazione all’inizio del 2012, fornendo ai ribelli siriani armi originariamente destinate alla Libia per evitare la supervisione del Congresso.

    Non dimentichiamo infine che tra i finanziatori della campagna della Clinton spiccano i sauditi.

    Mentre Hillary corre per la Casa Bianca, in Arabia si decapitano in un solo giorno 42 oppositori. Mentre i jihadisti sgozzano un prete dentro una chiesa in Francia, i sauditi tagliano teste legalmente senza che nessuno protesti. L’alleanza tra Washington e Ryad diventa ogni giorno più indifendibile, ma tutto tace finché comprano armi e investono sui nostri mercati. 

    A novembre sarà dunque una sfida tra due candidati davvero poco credibili.

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