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    Cosa c’è da aspettarsi dopo la decisione dell’Fbi di non incriminare Hillary Clinton

    L'analisi di Iacopo Luzi dagli Stati Uniti, su cosa comporterà questa decisione per il futuro della candidata democratica Clinton

    Di Iacopo Luzi
    Pubblicato il 6 Lug. 2016 alle 10:03 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:53

    La sala conferenze è gremita di giornalisti e telecamere, nonostante il brevissimo preavviso, e quando James B. Comey, direttore del FBI, fa il suo ingresso, tutti sanno già di cosa vorrà parlare. Dovrà semplicemente rispondere a una domanda: Hilary Clinton è colpevole oppure no per le mail contenenti informazioni riservate, inviate dal proprio computer utilizzando un account personale?

    Comey non si fa attendere: l’Fbi non incriminerà Hillary Clinton, che non sarà formalmente indagata per la diffusione di notizie confidenziali e top secret attraverso la sua email privata, precisamente hdr22@clintonmail.com, avvenuta durante il suo incarico di segretario di Stato dal gennaio 2009 fino al febbraio al 2013.

    Un enorme sospiro di sollievo per la Clinton, dato che da mesi i suoi rivali politici, primo su tutti Donald Trump, facevano leva sulla questione delle email per screditare la candidata democratica e accusarla di essere una corrotta con numerosi scheletri nell’armadio.

    Per farla breve: tutto nasce dall’investigazione avvenuta in seguito ai fatti di Benghazi, in Libia, dove nel settembre 2012 era stato ucciso l’ambasciatore americano J. Christopher Stevens in un attentato. A quei tempi la Clinton era ancora segretario e, dall’investigazione, era emerso come la candidata democratica avesse fatto uso della propria email personale per comunicare con il proprio staff dopo l’attentato.

    Questa scoperta ha rivelato come la Clinton facesse un uso sistematico del proprio account personale per mandare messaggi di posta non soltanto privati, bensì anche di lavoro. Messaggi contenenti informazioni riservate e potenziali vittime di attacchi hacker. Anche dei più semplici, viste le poche difese del suo.

    Va detto che la Clinton poteva farlo, in accordo con le leggi federali e il regolamento del Dipartimento di Stato di quel periodo, ma allo stesso tempo ha violato numerosi protocolli e procedure di sicurezza, mettendo ipoteticamente a rischio la sicurezza nazionale con la diffusione di notizie top secret. Ad ogni modo, la Clinton non subirà alcun processo.

    Come lo stesso capo del Fbi Comey l’ha definita, Hilary Clinton è stata solo “estremamente negligente” nell’utilizzare server e account privati anche per questioni strettamente di lavoro. E, sempre secondo Comey, è possibile che elementi ostili agli Stati Uniti – hackers, governi nemici, terroristi – abbiano avuto accesso alle sue email, seppure non ci siano prove effettive di nessuna violazione del suo account.

    Nelle oltre 30.000 email consegnate dalla Clinton, e nelle diverse migliaia di email cancellate, trovate dagli investigatori scandagliando i computer della candidata democratica, è emerso un quadro piuttosto interessante: 22 email contenevano informazioni top secret, 37 contenevano informazioni riservate, 10 contenevano informazioni confidenziali, il livello più basso di classificazione.

    Eppure, parole di James B. Comey, non ci sono prove che dimostrino come la Clinton abbia intenzionalmente e in malafede trasmesso informazioni riservate. Di conseguenza, non ci sono gli estremi per condannare l’ex segretario di Stato. O, per essere precisi, ci sarebbero delle potenziali violazioni, ma nessun procuratore ragionevole avrebbe il coraggio di sporgere accuse contro qualcuno in una situazione come quella della Clinton.

    La notizia è arrivata in uno dei giorni più intensi e caotici dell’intera campagna dell’ex segretario, mentre era in volo sull’Air Force One verso Charleston, North Carolina, in compagna niente meno che del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Infatti, nella giornata di martedì 5 luglio, il presidente Obama ha fatto ufficialmente il suo debutto in questa campagna presidenziale in uno stato strategico come il North Carolina, dove si suppone si deciderà una grossa fetta delle elezioni presidenziali di novembre, appoggiando a tutti gli effetti Hilary Clinton nella sua corsa alla Casa Bianca.

    Già nelle settimane passate, Barack Obama aveva dichiarato che avrebbe sostenuto la candidatura della Clinton, ma a Charleston i due si sono incontrati insieme per la prima volta su un palco. Obama ha ufficialmente dichiarato, di fronte a una platea gremita di gente, di aver avuto “la possibilità di vedere come lavora durante gli anni insieme al Senato e durante il suo incarico come segretario. [..] E posso dire che ha superato il test. […] Nessuno è più qualificato di lei a diventare presidente”.

    E facendo riferimento a Trump e al suo uso di Twitter per le proprie dichiarazioni, il presidente ha affermato che chiunque può twittare, ma nessuno sa veramente cosa significhi essere presidente fino a che non ci si siede a quella scrivania. E Hillary Clinton, che ha lavorato per lui ed è stata presente quando, in passato, sono state prese decisioni fondamentali all’interno dello Studio Ovale, sa cosa vuol dire fare scelte importanti per la propria nazione.

    Le parole di Obama e l’incontro congiunto a Charleston sono stati una maniera per portare unità all’interno del Partito Democratico e per trasmettere fiducia agli elettori, che ancora non riescono a vedere di buon occhio la candidatura di Hillary Clinton. Specie per via delle sue email che ne minano la credibilità. Non è mancata la risposta di Trump dopo le dichiarazioni del capo del FBI.

    Donald Trump ha attaccato Comey, affermando come il sistema sia corrotto e manipolato e che lo scandalo delle email, dove spesso le versioni dei fatti della Clinton sono state contraddittorie fra di loro e dove la candidata si è persino rifiutata di consegnare alcune email contenenti “informazioni riguardanti la sua vita privata”, siano la dimostrazione che Hillary Clinton sia una bugiarda e che abbia fatto di tutto per nascondere la verità.

    Nel frattempo, tornando alle dichiarazioni di Comey, non è da escludere che la Clinton possa ancora essere accusata in futuro per questa storia, in caso di future investigazioni. Sia in caso diventi presidente oppure no. E, al di là di tutto, va fatta una piccola analisi, dopo una giornata incandescente come quella di martedì 5 luglio: le parole del capo del Fbi hanno, volontariamente o involontariamente, annientato la credibilità della Clinton, definendola “reckless”, alias negligente. Incauta.

    E attaccando la sua capacità di giudizio e la sua competenza, tra l’altro. La Clinton ha passato mesi cercando di definire se stessa come una candidata affidabile ed esperta del mestiere, l’opposto totale di Trump. Eppure sono bastati pochi minuti di conferenza del direttore dell’Fbi per annientare la tanto sudata e ben costruita immagine della Clinton. Con poche e semplici parole.

    In una normale campagna presidenziale, dichiarazioni come queste avrebbero potuto sancire la fine della Clinton, ma non in quella di quest’anno, che si annuncia ancora ricca di colpi di scena. Una campagna presidenziale fuori dal comune che, a poche settimane dall’inizio della convention repubblicana di Cleveland e la convention democratica a Philadelphia, riserverà molte sorprese.

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