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    I panda sono armi diplomatiche, e questi atteggiamenti della Cina lo dimostrano

    Tutti gli esemplari di panda gigante in circolazione sono considerati per legge proprietà del governo cinese, che li utilizza per scopi politici ben precisi

    Di Francesca Loffari
    Pubblicato il 15 Nov. 2017 alle 10:00 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:57

    In pochi lo sanno, ma il panda gigante è un animale che in molti casi può essere utilizzato come arma diplomatica dalla Repubblica Popolare Cinese. Si tratta della cosiddetta panda diplomacy, che classifica tutti gli esemplari in circolazione di questa specie come proprietà esclusiva del governo cinese.

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    Questi animali vivono in natura soltanto nelle regioni del Qinling e del Minshan, due piccole zone montuose nella Cina rurale. Ne esistono circa 1500 esemplari. Altri 500 vivono in cattività, e di questi solo 70 si trovano fuori dalla Cina, ma per motivi ben precisi.

    Dal 1984 la Cina ha iniziato a concedere i panda con veri e propri contratti di affitto, che prevedono il pagamento fino ad un milione di euro all’anno per singolo esemplare. Se il panda muore per colpa dello zoo del paese ospitante, è prevista una multa di circa 500mila euro. Inoltre, la Cina rimane unico proprietario di tutti i prodotti biologici derivanti dai panda giganti, compresi i loro cuccioli. Ogni baby-panda gigante nato in territorio straniero, infatti, è per legge di proprietà cinese, e tenerlo assieme a mamma panda in un altra nazione ha un costo 400mila euro all’anno.

    Ogni panda dato in affitto è simbolo di un accordo commerciale andato a buon fine, come avvenuto nel corso degli anni con moltissimi paesi, tra cui Regno Unito, Scozia, Francia, Australia e molti altri. Il prestito dei panda si associa all’impegno delle nazioni straniere di fornire alla Cina risorse strategiche e indica la volontà di quest’ultima di stabilire solide relazioni commerciali.

    I panda sono quindi un attendibile parametro di valutazione delle relazioni politiche e commerciali tra la Cina e gli altri paesi. Nel 2010, ad esempio, la Cina chiese pubblicamente al presidente Barack Obama di non incontrare il Dalai Lama. Obama non raccolse l’invito e la Cina ritirò prontamente due esemplari di panda gigante appena nati in territorio statunitense.

    Sempre nel 2010, dopo che il dissidente cinese Liu Xiaobo venne premiato con il Nobel per la pace ad Oslo, in Norvegia, la Cina smise di importare salmone norvegese, firmò un contratto da 4 miliardi di euro con la Scozia e inviò un panda allo zoo di Edinburgo, per suggellare l’accordo.

    La panda diplomacy è un solido strumento di politica estera. Il panda è infatti uno dei principali strumenti con cui la Cina intende esercitare la sua politica di soft power per incrementare il proprio prestigio e influenza internazionali.

    Nel caso dei panda, il presidente Xi Jinping firma personalmente i loro contratti di affitto, solo dopo l’arrivo di una richiesta formale e pubblica da parte delle nazioni straniere richiedenti.

     

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