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    In Cina la comunità LGBT ha vinto una battaglia storica contro la censura

    Credit: AFP PHOTO / Aaron TAM

    Dopo aver annunciato la decisione di rimuovere contenuti omosessuali, la famosa piattaforma Weibo è stata costretta a fare marcia indietro grazie a una massiccia protesta portata avanti con hashtag come #SonoGay e #SonoIllegale

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 19 Apr. 2018 alle 09:47 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:54

    In Cina è avvenuta una storica vittoria del mondo Lgbt sulla censura sui social.

    Il 13 aprile, Sina Weibo, la piattaforma che viene considerata a tutti gli effetti il Twitter cinese, aveva annunciato la decisione di rimuovere i contenuti “con implicazioni pornografiche, che promuovono la violenza o correlati all’omosessualità”, in linea con le recenti direttive del governo contro la pornografia (conseguenza della famigerata legge sulla cybersecurity).

    Il post pubblicato dall’account ufficiale di Weibo venerdì conteneva anche le motivazioni dell’attività di ban in corso. La giustificazione della piattaforma social ha puntato il dito verso il governo cinese. Secondo quanto dichiarato, Weibo è stata obbligata dal governoa mettere in atto una “pulizia” dei contenuti come quella iniziata venerdì. Infatti, era necessario attenersi ad una legge cinese del 2017 che mira ad aumentare la cybersicurezza.

    Alle 18.55 dello stesso giorno, Sina annuncia di aver già “rimosso 56.243 post irregolari, e oscurato 108 account e 62 topic”. Nel solo mese di marzo, la società aveva cancellato oltre 1.3 milioni di post, bloccando circa 85mila account giudicati fuori legge. In ottemperanza con le medesime leggi.

    Alle 2 del mattino di sabato, la nota era stata condivisa 90mila volte, ricevendo 20mila commenti, scrive il Quotidiano del Popolo; condivisioni e commenti rapidamente rimossi.

    In meno di tre ore la corposa comunità Lgbt ha costretto la società a repentino passo indietro: con hashtag come #SonoGay e #SonoIllegale, decine di migliaia di cittadini hanno protestato contro la decisione annunciata dall’azienda.

    In meno di 24 ore questi hashtag sono comparsi sul microblog 300 milioni di volte, poi sono stati censurati. Ma la “tempesta” ha dato i suoi frutti.

    Nel pomeriggio del 16 aprile l’azienda ha fatto ufficialmente marcia indietro con un messaggio che in meno di tre ore è stato condiviso oltre 33 mila volte. Non è però ancora chiaro che ruolo abbia avuto il governo sulla decisione di equiparare l’omosessualità alla pornografia, e su quella successiva di rimuovere il divieto dal social.

    Non è certo la prima volta che la comunità Lgbt cinese deve combattere per vedere riconosciuti i propri diritti. Nonostante fosse un fenomeno largamente diffuso in epoca imperiale, la Repubblica popolare ha da sempre etichettato l’omosessualità come una “pratica decadente” importata dall’Occidente. Fino al 1997 è stata considerata un reato e solo nel 2001 è stata cancellata dalla lista delle malattie mentali.

    Oggi l’attitudine del governo è quella di”non approvare, non disapprovare e non incoraggiare» ma la pressione sociale continua a essere enorme. La discendenza non è qualcosa a cui cinesi sono disposti a rinunciare.

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