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    Usa, una squadra di football ha costretto le cheerleader a posare in topless e fare da escort agli sponsor

    Le cheerleader dei Washington Redskins durante una delle loro performance. Patrick Smith/Getty Images/Afp

    I fatti risalgono al 2013 durante un viaggio in Costa Rica, per il quale le cheerleader non sono state pagate. Sotto accusa i vertici dei Washington Redskins, una squadra di football americano della NFL, la cui sede si trova in Virginia

    Di Gianluigi Spinaci
    Pubblicato il 3 Mag. 2018 alle 13:32 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 00:08

    Le cheerleader dei Washington Redskins, una squadra di football americano della NFL, la cui sede si trova ad Ashburn, in Virginia, sono state costrette a posare in topless per un servizio fotografico nel 2013, davanti a una platea di spettatori, tutti uomini, invitati dalla proprietà della squadra.

    È quanto emerge da un articolo pubblicato il 2 maggio dal New York Times.

    Le cheerleader sono delle atlete che realizzano delle coreografie combinando elementi di ginnastica, danza e acrobazia, per concorrere a gare specifiche e per incoraggiare le squadre, in particolare negli sport statunitensi, sul campo di gioco, prima o durante le partite.

    Ad alcune di queste ragazze è stato inoltre richiesto di partecipare ad un evento in un locale notturno nel ruolo accompagnatrici di alcuni uomini, rappresentanti degli sponsor della squadra.

    Le cheerleader, nonostante abbiano raccontato che non ci sono stati rapporti sessuali con questi uomini, si sono sentite letteralmente sfruttate dalla società.

    I fatti si sarebbero verificati nel 2013 durante un viaggio di una settimana in Costa Rica, per il quale le cheerleader non sono state pagate.

    “Non è giusto mandare le cheerleader con uomini strani quando alcune ragazze chiaramente non vogliono andare”, ha detto una delle donne coinvolte al New York Times.

    “Ma sfortunatamente, sento che non cambierà fino a quando non succede qualcosa di terribile, come una ragazza che viene in qualche modo aggredita o violentata. Penso che i team inizieranno a prestare attenzione a questo solo quando sarà troppo tardi”.

    Si parla anche di una gita annuale e obbligatoria a cui le cheerleader devono partecipare con i rappresentanti degli sponsor.

    Alcune donne hanno parlato di una viaggio avvenuto nel 2012 definendolo “un raduno selvaggio, dove gli uomini sparavano superalcolici nella bocca delle cheerleader con i contagocce”.

    “Nel ponte della barca che ospitava la festa, gli uomini presenti elargivano premi in denaro facendo gareggiare le ragazze in gare di twerking”, ha raccontato una delle cheerleader coinvolte.

    A stretto giro di posta è arrivata la replica dei Redskins alle accuse formulate sul New York Times.

    “Il programma delle cheerleader dei Redskins è uno dei migliori della NFL in termini di partecipazione, professionalità e servizio alla comunità”, ha affermato il team in una nota.

    “Ogni cheerleader dei Redskin è contrattualmente protetta per garantire un ambiente sicuro e costruttivo”.

    “Il lavoro che le nostre ragazze pon-pon fanno nella nostra comunità, visitando le nostre truppe all’estero e supportando il nostro team sul campo”, continua la dichiarazione, “è qualcosa di cui la dirigenza dei Redskins e i nostri fan sono orgogliosi”.

    La NFL è stata sottoposta a un controllo approfondito sul trattamento riservato alle cheerleader.

    Il mese scorso due ex cheerleader, Bailey Davis dei New Orleans Saints e Kristan Ware dei Miami Dolphins, hanno presentato dei reclami contro la più importante lega di football americano.

    Tra le questioni denunciate dalle due donne erano riportati casi di discriminazione di genere, molestie sessuali, salari bassi, turni troppo lunghi e non retribuiti e controllo discriminatorio dei social media.

    La NFL ha risposto alle cause con una dichiarazione dove si legge: “Tutti coloro che lavorano nella NFL, comprese le cheerleader, hanno il diritto di lavorare in un ambiente positivo e rispettoso, libero da qualsiasi forma di molestia e discriminazione e pienamente conforme allo stato e leggi federali”.

     

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