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    Che cos’è l’articolo 50 del trattato di Lisbona?

    L'articolo regola l'uscita di uno stato membro dall'Ue. Ecco cos'è e come funziona

    Di TPI
    Pubblicato il 28 Giu. 2016 alle 11:30 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:12

    A tre giorni dal referendum sulla Brexit l’incertezza sul futuro del paese è ancora tanta. David Cameron ha ribadito che rimarrà in carica finché non sarà eletto il suo successore, presumibilmente all’inizio di settembre, e sarà lui a decidere come procedere e quando comunicare ufficialmente l’intenzione del Regno Unito di lasciare l’Ue, invocando l’articolo 50 del trattato di Lisbona.

    Ieri la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente Francois Hollande e il primo ministro italiano Matteo Renzi si erano incontrati e all’unanimità avevano espresso la necessità che si procedesse il prima possibile all’uscita del Regno Unito dall’Ue, per evitare instabilità politica ed economica, ma che comunque non ci si sarebbe potuti muovere finché non fosse stato il Regno Unito ad avviare la procedura.  

    Articolo 50 sì, articolo 50 no. Ma che cos’è?

    Secondo l’articolo 50 del trattato sull’Unione europea, uno stato membro può avviare unilateralmente la pratica di recessione dall’Unione. La decisione di avviare tale processo deve essere presa nel pieno rispetto delle singole Costituzioni nazionali.

    Una volta che l’intenzione di uscire è stata comunicata al Consiglio europeo, hanno inizio le trattative fra l’Unione e il singolo paese riguardo alle modalità del “divorzio” e alle relazioni future fra le due parti (per esempio, il Regno Unito e l’Ue potrebbero decidere di discutere riguardo a nuovi accordi commerciali). Il Consiglio europeo, rappresentante dell’Unione, conclude il rapporto con una delibera a maggioranza, non senza aver ottenuto l’approvazione del Parlamento di Bruxelles.

    Nel momento in cui si raggiunge l’accordo di recesso, il singolo paese cessa di essere sottoposto ai trattati europei. Lo stesso accade, anche se non si dovesse arrivare a un compromesso fra i negozianti, due anni dopo la notifica al Consiglio europeo, a meno che non venga concessa una proroga dalle autorità continentali.

    Durante i due anni di trattative, il recedente in questione dovrebbe comunque sottostare alle regole dell’Unione ma rinunciare ad ogni potere decisionale all’interno di essa.

    Secondo un documento rilasciato dal governo britannico, l’intera pratica di uscita richiederebbe molti anni e in caso di vittoria degli euroscettici, il paese si dovrebbe preparare a un “decennio di incertezze”.

    Se lo stato mai decidesse di rientrare nell’Unione, si troverebbe costretto a seguire un processo di adesione uguale a quello dei nuovi membri. Brexit, come David Cameron ha tenuto a sottolineare più volte nell’incitare a votare remain, è quindi irreversibile. 

    L’articolo 50 è comparso per la prima volta nella versione del trattato dell’UE siglato a Lisbona nel 2007, ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009. Prima di allora, un membro non poteva lasciare l’Unione a meno che entrambe le parti riconoscessero il diritto informale di uscita o che le circostanze in cui il trattato era stato negoziato fossero cambiate così drasticamente da trasformare gli obblighi dei firmatari.

    Prima della sua ratificazione e della nascita dell’Ue nel 1992 a Maastricht, alcuni stati e territori avevano tentato, invano o con successo, di lasciare l’allora Comunità economica europea. Il Regno Unito indisse un referendum nel 1975, ma fu il fronte remain a trionfare. I cittadini della Groenlandia, che fa parte della Danimarca ma gode di una certa autonomia, nel 1985 hanno invece effettivamente votato per l’abbandono della Cee. 

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