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    Brexit, il nuovo accordo tra Regno Unito e Unione europea in 10 risposte

    Il capo negoziatore Ue per la Brexit Michel Barnier indica la bozza di accordo Ue-Regno Unito, nelle mani del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk (Photo by Emmanuel DUNAND / AFP)

    Ecco le cose principali da sapere dell’accordo che Londra ha raggiunto con Bruxelles

    Di Maurizio Carta
    Pubblicato il 15 Nov. 2018 alle 11:10 Aggiornato il 9 Set. 2019 alle 17:20

    Ci sono volute quasi 600 pagine e circa due anni e mezzo, da quando i britannici hanno votato. Si sono dimessi 17 componenti del governo su 22. Lei no, la premierà britannica Theresa May è ancora là. Un altro passo, corto ma importante, verso la strada che porta verso la porta d’uscita da Bruxelles.

    Per entrare in vigore, l’accordo sulla Brexit richiede l’approvazione da parte del Consiglio Europeo, del Parlamento europeo e di quello britannico, e la ratifica dei paesi dell’Unione. Il punto più spinoso è quello che riguarda il nuovo confine politico, quello fra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord, per evitare la presenza di controlli e salvaguardare l’accordo di pace del 1998 fra le “due Irlande”.

    Ma veniamo al dunque in 10 quesiti.  

    Su cosa si sono impegnate Unione Europea e Regno Unito per il futuro, e su cosa hanno trovato un accordo?

    Visto e considerato che il Regno Unito ha deciso di lasciare l’Unione Europea, si è trovato un modo per divorziare “in pace”, ponendo le basi per una futura relazione che possa essere positiva per le due parti. Ue e Regno Unito si impegnano per stabilire un “accordo doganale ambizioso” nelle future relazioni che includeranno tutto il Regno Unito, senza distinzione fra le quattro componenti: Galles, Scozia, Inghilterra e Irlanda del Nord.

    Come funzionerà il “nuovo” confine che separerà (o unificherà) l’Irlanda?

    Il trattato prevede , come previsto, il mantenimento della pace facendo a meno di un confine dentro l’isola d’Irlanda fra la parte “europea” e quella “britannica”.

    È prevista la continuazione della cooperazione per la sicurezza e la stabilità della Common Travel Area tra nord e sud. A dire il vero, tale area esiste da quasi cento anni, ma l’appartenenza delle due “entità” all’Unione Europea ne ha poi ulteriormente legittimato la presenza stessa. Ma se le trattative per trovare una soluzione valida falliranno, l’Unione Europea (spinta dalla Repubblica d’Irlanda) chiederà una clausola di salvaguardia da attivare in caso non si trovi un accordo sulle relazioni future.

    Cosa chiede in cambio l’Unione Europea?

    L’Unione Europea ha chiesto una sorta di “polizza di assicurazione” nel caso in cui le trattative per le nuove relazioni – da intavolare nel periodo di transizione – falliscano.

    Ecco quindi la clausola di salvaguardia, detta backstop, per mantenere gli equilibri in Irlanda nel caso in cui tutto si areni.

    Se non si troveranno soluzioni migliori, l’accordo di divorzio vincola l’Irlanda del nord a uno strettissimo patto doganale con l’Unione Europea e alle norme del mercato unico, con controlli su alcuni scambi commerciali con il resto del Regno Unito.

    Per fare sì che ci vengano applicati meno controlli possibili, il Regno Unito ha promesso di ridurre al minimo le divergenze regolamentari con l’Irlanda del nord aderendo alle norme del mercato unico dell’Ue per le merci, compresi i prodotti agricoli.

    Una più profonda inclusione del Nord Irlanda nelle regole comunitarie è comunque un paletto posto da Bruxelles. Per esempio, le merci del Nord Irlanda avranno una differente etichetta autorizzata dall’Ue. Il Regno Unito (meno l’Irlanda del nord) farà parte di un’unione doganale più basilare e meno specifica.

    Il backstop, questa sorta di garanzia “paracadute” per evitare un confine  fisico e operativo, è destinato ad applicarsi solo temporaneamente, a meno che  non venga sostituito da una migliore soluzione.

    Intanto, in assenza di una degna e valida alternativa  che lo sostituisca, il documento prevede per il nord Irlanda il “mantenimento del pieno allineamento con le regole e standard del mercato interno dell’Unione e dell’unione doganale”.

    Ma allora, perché non si è arrivati subito a questa soluzione?

    Perché il governo di Theresa May si regge in Parlamento grazie a dieci parlamentari del partito Dup del Nord Irlanda. Questo partito è “unionista britannico”, e per una questione ideologica pretende che il trattamento del Regno Unito sia uniforme in tutto e per tutto nel processo di abbandono, senza fare distinzioni.

    Il Dup è contro regole più stringenti e affini alla Ue per la sola Irlanda del nord rispetto al resto del Regno Unito. I voti dei suoi parlamentari sono importantissimi per la sopravvivenza dell’esecutivo di Theresa May, quindi se (anche) il Dup voterà contro in parlamento, bisognerà trovare nuove maggioranze.

    Ma sino a quando durerà questo “limbo”?

    Ovviamente finché non si troverà una soluzione migliore (anche al backstop quindi). Tuttavia, tutto questo durerà sino a quando un collegio di esperti non valuterà l’eventuale richiesta di abbandono di questa “opzione doganale” da parte dei britannici, con un periodo di pre-avviso determinato.

    Si tratta di sei mesi di tempo. Il preavviso verrà valutato da 5 giudici, di cui 2 britannici, due europei e uno designato in accordo fra le parti, che valuteranno la situazione in ottemperanza ai regolamenti della Corte di Giustizia Europea.

    In questo periodo il Regno Unito non potrà concludere accordi commerciali con paesi terzi e dovrà allinearsi alle regole europee.

    Il Regno Unito dovrà pagare un conto d’uscita?

    Il Regno Unito deve onorare tutti gli impegni presi con l’Unione Europea, in maniera tale che nessun paese debba sostenere maggiori costi per compensare l’assenza dei sudditi di Elisabetta alla cassa dei pagamenti di Bruxelles.

    Di quanto si tratta? Le prime stime, tutte da accertare, partono da circa 40 miliardi di euro, non un centesimo in meno. Buona parte di questi pagamenti verrà saldata entro il 2025, anche se lo strascico delle rate si sentirà, per determinate aree, sino al 2064.

    Perché il periodo di transizione finisce proprio nel 2020?

    Il trattato prevede il periodo di transizione per il Regno Unito fino alla fine del 2020, che può essere prolungato per un periodo non specificato.

    Il Regno Unito può richiedere un’estensione del periodo di transizione in qualsiasi momento prima del 1° luglio 2020. Il 2020 è stato deciso perché è il termine in cui scade il bilancio settennale dell’Unione Europea.

    Durante questo periodo il Regno Unito non ha più rappresentanza nel parlamento europeo (elezioni a maggio 2019). Quindi rispetterà le regole europee e le decisioni del blocco europeo ma senza partecipare alla loro decisione e scrittura.

    Cosa cambia durante il periodo di transizione?

    Esattamente nulla. Sarà come un paese membro, ma, come detto, non parteciperà alle decisioni. In tale arco temporale non cambierà niente per cittadini e imprenditori. Durante questo periodo, fino al 2020, si ha diritto, fra le altre cose, anche al ricongiungimento familiare.

    Qualora l’Ue e il Regno Unito prolungassero la transizione oltre il dicembre 2020, il Regno Unito dovrà negoziare le quote di pagamento nel bilancio comunitario per tale periodo.

    Cosa succede ai cittadini “europei” nel Regno Unito e viceversa?

    L’accordo di uscita mantiene i diritti esistenti nell’Ue degli oltre 3 milioni di cittadini nel Regno Unito e di circa 1 milione di cittadini britannici che vivono nel vecchio continente. L’accordo consente a un cittadino dell’Ue di richiedere la residenza permanente nel Regno Unito e mantenere la maggior parte dei diritti di ricongiungimento familiare goduti.

    Fra le altre cose, il fatto che i cittadini dell’Ue e del Regno Unito potranno uscire ed entrare nelle due aree con il passaporto o con la carta d’identità.

    Dopo 5 anni dalla fine del periodo di transizione, le carte di identità potrebbero essere rifiutate se non rispetteranno gli standard di identificazione biometrica. Se i familiari dei cittadini di Ue e Regno Unito sono cittadini di Paesi terzi, sarà necessario da subito per loro un passaporto valido.

    Un passaggio stabilisce la parità dei diritti dei lavoratori, senza alcuna discriminazione sulla base della nazionalità. I figli dei lavoratori che lasciano lo Stato in cui sono ospiti potranno completare il ciclo educativo fino alla maggiore età

    Ma questo accordo diventerà legge?

    Theresa May ha convinto il suo governo fra tante riserve, dubbi e mal di pancia. Adesso la palla passa al parlamento, che deve fare una legge. Un altro piccolo passo, uno alla volta, come da quando May ha messo piede al numero 10 di  Downing Street. Per le probabilità e le scommesse, chiedere ai bookmakers.

     Questa è terra di scommesse, come quella di Theresa May.

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