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    Cosa succederà al Regno Unito dopo l’avvio delle trattative per la Brexit

    Il 29 marzo il Regno Unito annuncerà all'Ue la volontà di invocare l'articolo 50 del Trattato di Lisbona. Quali sono i terreni su cui si giocherà la partita?

    Di Maurizio Carta
    Pubblicato il 20 Mar. 2017 alle 11:33 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:38

    Il prossimo 29 marzo il Regno Unito annuncerà ufficialmente alle istituzioni europee la volontà di invocare l’applicazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona. La richiesta darà il via all’uscita del paese dall’Unione europea. 

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    Alcuni giorni fa il ddl sulla Brexit è infatti diventato legge dopo il “Royal assent” della Regina. Questo passaggio è avvenuto il 16 marzo e da’ formalmente l’autorizzazione al governo. 

    Dal 29 marzo comincerà a decorrere il periodo di tempo di due anni al termine del quale il Regno Unito sarà fuori dall’Unione anche se non dovesse arrivare l’accordo tra Londra e Bruxelles. L’intenzione di Theresa May è stata comunicata agli uffici del presidente del Consiglio europeo.

    La clausola 50 del Trattato di Lisbona prevede infatti che la volontà di lasciare la Ue debba essere notificata al Consiglio Europeo, presieduto attualmente dal polacco Donald Tusk.

    Ma quali sono gli ostacoli, le forze in campo e le insidie da superare? La partita si gioca su più sponde. Ecco quali sono.

    Innanzitutto vediamo i numeri del Regno Unito al cospetto della Ue e le forze in campo al tavolo delle trattative, dove ogni singola pedina è portatrice di potere negoziale. 

    Il Regno Unito rappresenta il 18 per cento dell’intera economia dell’Unione europea e il 13 per cento della popolazione totale, con 2,8 milioni di cittadini Ue che vivono all’interno del paese, (circa 1 milione nella sola Londra) e circa un milione di britannici sparsi nel vecchio continente. In Europa è la prima forza militare e gode del potere di veto, così come la Francia, all’interno dell’esclusivo Consiglio di sicurezza dell’Onu.

    È chiaramente membro della Nato, Fmi, Banca Mondiale e di tutte le istituzioni mondiali che pesano. È l’alleato storico degli Stati Uniti. Possiede a Londra una delle Piazze finanziarie più importanti nel mondo, insieme a New York.

    Circa l’8 per cento dell’esportazione totale del blocco europeo è verso il Regno Unito, mentre il paese esporta per oltre il 40 per cento nei paesi Ue. Argomento imprenscindibile quanto prioritario è il prezzo da pagare per l’abbandono, un conto d’uscita in senso stretto, che secondo le prime stime potrebbe aggirarsi intorno ai 60 miliardi di euro.

    Citiamo pochi punti fra i più importanti. Tale cifra, secondo il Centre for European Reform, comprende: 

    – gli impegni presi nei precedenti bilanci spalmati in più annualità e non liquidabili una volta fuori dalla Ue, fra cui progetti di finanziamento e sviluppo nelle regioni più povere dell’Unione, oltre alle spese intraprese dalla Ue che al momento della decisione poteva contare sul supporto britannico in qualità di membro; 

    – la quota di pagamento per pensioni del personale della Ue; 

    – i finanziamenti per progetti di ricerca spaziale come Copernicus e Galileo; 

    – gli aiuti e gli impegni in veste di membro Ue dei prestiti verso i paesi che hanno incontrato di recente pesanti crisi finanziarie, fra cui Portogallo e Irlanda. All’interno dei suoi confini invece i problemi per il Governo May non sono mancati.

    Il premier della Scozia Nicola Sturgeon ha dichiarato di voler procedere con un altro referendum sull’indipendenza dal Regno Unito, da tenersi fra l’autunno del 2018 e la primavera del 2019.

    Theresa May, di contro, ha detto che per il momento è fuori discussione vista la priorità della partita con Bruxelles. La Scozia fa parte del Regno Unito da oltre 300 anni, nell’ultimo Referendum sull’indipendenza ha vinto la parte unionista per 55 a 45, mentre sul referendum Brexit, gli scozzesi si sono dimostrati largamente europeisti, il “remain” ha prevalso con un 62 a 38.

    In futuro inoltre, tra le forze influenti della trattativa potrebbero cambiare due pedine che godono del più alto peso specifico nelle istituzioni europee, viste le future elezioni sia in Francia che in Germania.

    I negoziati avranno la durata di due anni, dopo i quali, accordo o non accordo, le parti saranno due entità separate.

    Se il Regno Unito tenterà di ottenere un buon patto d’uscita, magari mantenendo l’accesso al mercato unico, l’Unione europea tenterà di non essere troppo “permissiva” ed evitare che larghe concessioni possano costituire un precedente dove ogni stato possa quindi decidere cosa prendere e cosa scartare del “condominio europeo”.

    In inglese si chiama “cherry-pick”, quando appunto si selezionano solo i benefici e i vantaggi di una cosa. 

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