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    Brexit, e se i veri europeisti fossero i Lord?

    La Camera dei Lord

    Questa settimana approda alla Camera dei Comuni la legge di ritiro dall’Unione Europea, con tanti emendamenti inseriti dalla Camera dei Lord che cercano la riconferma. Intanto a Bruxelles la pazienza inizia a diminuire

    Di Maurizio Carta
    Pubblicato il 11 Giu. 2018 alle 13:36 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 01:34

    Se qualcuno pensa ancora che nel Regno Unito la Camera dei Lord abbia solo una funzione folkloristica e rappresentativa, beh allora ci ripensi. Questa volta i Lord a fare da “passacarte”, venga perdonata la forza della parola, non ci sono proprio stati. Alla legge di ritiro dall’Unione Europea, conosciuta come European Withdrawal Bill, hanno presentato ben 15 emendamenti sui quali altrettante volte il governo, guidato dal partito conservatore della premier Theresa May, è andato sotto incassando delle sconfitte.

    I peers, come li chiamano nel gergo istituzionale, alla Camera dei Lord sono in maggioranza Laburisti, partito di opposizione guidato da Jeremy Corbyn, rappresentante della corrente più a sinistra e radicale del partito.

    Nel ping-pong che questo disegno di legge sta conoscendo da ormai diversi mesi, si gioca il futuro del Regno Unito al suo interno e, cosa che preme di più all’opinione pubblica, al suo esterno, vale a dire in che modo si voglia divorziare rimanendo “amici” con l ’Unione Europea. Un matrimonio da ridimensionare, ma pur sempre un divorzio.

    Le due fazioni si distinguono sommariamente in due parti. Coloro che vogliono un distacco netto con Bruxelles e quelli che ne vorrebbero una versione soft, mantenendo un relazione quanto più stretta possibile, specie per garantire la linfa vitale di ogni stato degno di questo nome, ossia la fluidità del commercio estero.

    I labour a loro volta sono in maggioranza per la versione soft, dato che fra le loro fila prima del referendum erano in netta maggioranza gli “europeisti”, diventati nel tempo difensori della versione detta appunto “soft Brexit”. Fra i conservatori invece, a maggioranza anti-europeista, prevale comunque una buona fetta di parlamentari eurofili, cosa che sta creando non pochi problemi alla signora May, che a suo tempo si schierò per rimanere all’interno dell’Unione europea, seppur senza dannarsi l’anima come ricorda qualcuno degli addetti ai lavori.

    Theresa May cammina su un ponte tibetano, perché i Brexiteer più intransigenti del suo partito potrebbero di colpo staccare la spina al governo, in piedi grazie anche a 10 parlamentari del partito nord-irlandese Dup.

    La legge arriverà alla Camera dei Comuni martedì e gli emendamenti da tenere d’occhio sono riassumibili in pochi punti.

    Rimanere all’interno dell’Unione doganale europea

    Il primo riguarda la richiesta, introdotta dai Lord, di rimanere all’interno dell’Unione doganale europea, facendo cadere uno dei paletti di Theresa May sull’indiscutibilità di questo punto.

    Questo consentirebbe di mantenere tutti i rapporti commerciali vivi con il resto del mondo, visto che l’Unione doganale europea è la voce della politica commerciale di tutti i suoi membri agendo come blocco unico di fronte al pianeta.

    Il Regno Unito eviterebbe così di negoziare oltre 40 trattati commerciali, che diventerebbero carta straccia, con paesi extra-Ue.

    Il commercio sarebbe privo di dazi doganali fra i paesi membri e garantirebbe l’eliminazione del problema del confine delle “due irlande” su successivi controlli di frontiera per le merci, vitale per le due economie e la garanzia della pace raggiunta nel 1998 con il God Friday Agreement.

    Il potere di veto della Repubblica Irlandese

    Un altro emendamento è quello che prevede di dare il potere di veto al governo irlandese nel caso in cui la soluzione al problema del confine non sia soddisfacente. Un colpo al nazionalismo britannico si potrebbe dire, ma gli irlandesi hanno chiesto garanzie all’Ue, e sembra che le richieste siano arrivate anche a Londra: il commercio con il Nord Irlanda britannico è fondamentale, così come la pace raggiunta trent’anni fa.

    Eliminazione della data ufficile di abbandono dal testo di legge

    Altro punto controverso che i Lord hanno proposto riguarda l’eliminazione della data di abbandono dal disegno di legge. Questo sarebbe superfluo, dato che la data è già ben chiara dal momento della notifica del Regno Unito all’ Ue, il 29 marzo 2019.

    L’eliminazione precluderebbe però la possibilità di chiedere l’estensione del periodo di permanenza ai restanti 27 paesi come previsto dai trattati europei. Questo non piace ai radicali della Brexit, che temono che il processo non abbia mai fine.

    Permanenza nell’Area Economica Europea

    Infine, quello che probabilmente non passerà, riguarda la richiesta di rimanere anche all’interno dell’ Area Economica Europea. Questo sarebbe una sorta di modello norvegese, in cui si accede senza dazi commerciali al mercato unico  senza essere membri dell’Unione.

    Con questa soluzione si manterrebbe aperta la porta anche per i servizi finanziari, vero fiore all’occhiello dell’economia di Sua Maestà. Verrebbe a mancare ovviamente la rappresentanza nel Parlamento Ue e l’influenza sulla scrittura delle leggi. Con questo modello bisogna inoltre garantire la libera circolazione delle persone.

    Il tema dell’immigrazione è stato il punto forte della battaglia degli anti-europeisti e si presenta forse come  l’emendamento con più bassa difficoltà di approvazione alla Camera dei Comuni, visto che il Labour ha dato appoggio per l’Unione Doganale, ma non per l’Area Economica Europea, di cui comunque vorrebbe mantenere tutti i benefici ma cambiandone il nome.

    Una parte dei Labour però voterà a favore,  lo stesso gruppo laburista che appoggia un altro referendum per far decidere agli elettori sul futuro accordo con l’Unione europea, sperando nella retromarcia e nella sognata permanenza comunitaria.

    A due anni dal referendum, ancora non ha una forma la futura relazione, con mancanza di proposte valide e accettabili da parte di Londra. Bruxelles ha già da tempo fatto sapere che il Regno Unito non potrà mai avere gli stessi benefici della permanenza completa, facendo scelte selettive che inviterebbero anche altri stati a seguirne l’esempio.

    Inoltre, anche l’Europa vorrebbe quanto prima risolvere la quesione dando priorità ai temi caldi e le sfide che l’attendono come unione bancaria, difesa comune e organizzazione interna in un mondo che ragiona sempre più per sfere d’influenza. Insomma, anche dal vecchio continente la pazienza sembra stia venendo a mancare. Perché altre priorità sono all’orizzonte. Anzi, sono già in agenda.

    E allora questa settimana si spera – a meno di ulteriori rinvii – di capire se la desueta Camera dei Lord abbia influenza, o se non sia per l’ennesima volta un’assemblea senza vero potere. Intanto a fine mese il Consiglio Europeo aspetta risposte e soluzioni fattibili, con il tempo che stringe e la pazienza pure, caratteristica fondamentale nell’arte della diplomazia.

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