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    Il risveglio post-Brexit

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    Di TPI
    Pubblicato il 27 Giu. 2016 alle 10:51 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:13

    Mi chiamo Laura e sono una dei milioni di europei che vivono nel Regno Unito. Ho 28 anni, e sono quanto più di europea possibile: mamma italiana e babbo danese, sono nata in Italia ma ho passato la maggior parte della mia vita da adulta lontano da casa: a 16 anni mi sono trasferita in Francia; poi, grazie alla borsa di studio Erasmus finanziata dall’Unione europea, ho passato l’ultimo anno di università in Spagna, ed infine ho deciso di iscrivermi a un master in Inghilterra.

    L’Unione europea ha finanziato due dei progetti su cui ho lavorato da quando mi sono laureata, rispettivamente in India e ad Haiti, e al momento lavoro nell’ambito dei diritti umani a Londra.

    Essendo giovane e privilegiata, ho sempre dato la mia libertà di movimento per scontata: ho sempre potuto decidere di spostarmi da un continente all’altro senza dovermi preoccupare di visti e restrizioni. 

    Nei due anni che ho passato a Londra mi sono sempre sentita a casa: in questa città è possibile trovare elementi di tutti i paesi in cui ho avuto l’opportunità di vivere, e molto di più. È raro che passi un giorno senza che io senta parlare francese, italiano o spagnolo per strada.

    Se mi viene nostalgia della cucina italiana, in meno di dieci minuti a piedi da casa arrivo in un’ottima pizzeria. E se voglio esplorare nuove parti del mondo con qualche minuto in più di ricerca trovo cibo, musica e atmosfere provenienti da ogni dove. 

    Nonostante ciò, quando mi sono svegliata venerdì mattina ero diventata un’immigrata. Nel corso di una notte ho perso i miei privilegi legati alla libertà di movimento.

    Niente cambierà per i prossimi due anni, ma nessuno sa cosa succederà dopo. Sto scoprendo il significato della parola incertezza. Non posso più pensare a un futuro a lungo termine nel Regno Unito, visto che non so se sarà possibile per me rimanere qui.

    Gli immigrati extra-Ue hanno l’obbligo di guadagnare almeno 35mila sterline per poter restare qui: questa regola verrà applicata anche a noi? Il numero di europei che possono vivere qui sarà stabilito attraverso delle quote? Il mio datore di lavoro dovrà sponsorizzarmi? Queste sono solo alcune delle domande che mi sono posta negli ultimi tre giorni. 

    Molti dei miei amici europei si stanno ponendo simili domande. Chi ha comprato casa è ancora più preoccupato. Chi ha passato più di cinque anni nel Regno Unito sta iniziando a prendere in considerazione l’idea di fare domanda per la cittadinanza britannica.

    Alcuni di noi si sentono traditi, e in molti stanno pensando di lasciare il paese. Mentre il nostro futuro qui è insicuro, possiamo sempre trasferirci in uno degli altri 27 paesi membri dell’Unione europea. 

    Mentre stavo andando al lavoro venerdì ho iniziato a guardare Londra con nostalgia per ciò che questa città ha rappresentato per milioni di noi: un posto in cui è difficile sentirsi straniero, una nuova casa.

    Dopo che sono stati annunciati i risultati del referendum, tutto questo è iniziato a cambiare. La mia relazione di amore e odio con Londra è ora caratterizzata da un rimpianto per ciò che la città era fino a qualche giorno fa. 

    Sabato sera sono andata a cena fuori con degli amici. Abbiamo scelto un ristorante italiano nel centro della città, e abbiamo brindato a tutti gli europei che vivono nel Regno Unito, e a tutti i britannici che ci hanno sempre fatto sentire a casa. 

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