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    Assalto al Parlamento in Brasile, similitudini e differenze con Capitol Hill

    Analogie e differenze tra gli assalti di Brasilia e Capitol Hill nel 2021, ne abbiamo parlato con Stefano Magni, esperto di questioni sudamericane

    Di Roberto Sciarrone
    Pubblicato il 9 Gen. 2023 alle 18:19 Aggiornato il 9 Gen. 2023 alle 18:20

    Le immagini di ieri ci hanno riportato alla memoria quanto accaduto a Capitol Hill il 6 gennaio del 2021. La sceneggiatura? Praticamente identica. A Brasilia, capitale dello Stato brasiliano dal 1960, migliaia di manifestanti pro-ex presidente Bolsonaro hanno preso d’assalto i palazzi del potere tra cui la sede della presidenza ma anche del Congresso e della Corte suprema brasiliana.

    Tutto molto simile all’assalto a Capitol Hill degli, allora, supporters di Donald Trump. Quali analogie e quali differenze? Lo abbiamo chiesto al giornalista Stefano Magni.

    La polizia di Brasilia, la capitale, ha fatto abbastanza per prevenire una folla che (emulando i sostenitori di Donald Trump a Washington, due anni fa) ha preso d’assalto il Congresso, la Corte Suprema e il palazzo presidenziale?
    Non ha fatto abbastanza e i risultati sono lì a dimostrarlo. Benché la manifestazione di fronte alle istituzioni federali fosse in corso da tempo, l’intelligence e poi la polizia non sono riuscite a prevenire un atto di aperta insurrezione, organizzato da tempo, con migliaia di manifestanti coinvolti.

    Le forze dell’ordine non hanno impedito neppure che la folla facesse irruzione nelle sedi del legislativo e dell’esecutivo, provocando anche danni materiali. Lo sgombero e gli arresti sono poi avvenuti senza incidenti, ad opera della polizia militare, ma era già tardi. La prima conseguenza è la rimozione di Ibaneis Rocha, il governatore di Brasilia, responsabile dell’ordine pubblico nello Stato della capitale.

    Le prossime indagini stabiliranno se si sia trattato di mera incompetenza o se vi fosse dolo. L’ordine di rimozione del governatore è giunto dalla Corte Suprema e in particolar modo da Alexrandre de Moraes, il quale sostiene che l’assalto alle istituzioni sia avvenuto “con il consenso, o anche la partecipazione attiva, delle autorità competenti per la pubblica sicurezza e l’intelligence”.

    L’ordine di rimozione sarà però a sua volta foriero di nuove proteste. Il giudice Moraes, infatti, è anche presidente del Tribunale Elettorale Supremo ed è già stato accusato dai sostenitori di Bolsonaro, nei mesi scorsi, di aver coperto brogli elettorali e di aver minacciato gli organizzatori delle proteste tramite il blocco dei loro conti in banca.

    Jair Bolsonaro così come Donald Trump due anni fa non ha ancora riconosciuto la vittoria dell’avversario, aprendo la strada a una narrazione alternativa complottista. Possiamo affermare che la contestazione sia dovuta al risultato elettorale che ha visto Bolsonaro battuto da Lula nelle presidenziali di due mesi fa?
    Jair Bolsonaro non ha espresso alcun riconoscimento della vittoria di Lula, ma contrariamente a Donald Trump, non ha fatto nulla per impedirne l’insediamento. Lula è divenuto presidente, ufficialmente, domenica 1 gennaio. La transizione del potere da un presidente all’altro è infatti avvenuta senza incidenti.

    L’assalto alle sedi istituzionali è avvenuto dopo l’insediamento, dunque non era volto a impedire la certificazione della vittoria elettorale di Lula, come invece era l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

    Quindi Bolsonaro è meno responsabile di Trump della possibile accusa di ostruzione al processo democratico. Fatta questa dovuta distinzione, c’è da dire che, come ogni narrazione complottista si basa su un fondo di verità, anche i manifestanti pro-Bolsonaro che non hanno accettato la vittoria di Lula, hanno fondati motivi per pensare a brogli elettorali.

    Le denunce di mal funzionamento del voto elettronico, in particolar modo, sono al centro dell’attenzione dell’opposizione. Così come l’atteggiamento del Tribunale Elettorale Supremo. Il team tecnico delle forze armate che ha effettuato un’analisi post-elezione del sistema elettronico di voto, lamentava, nel novembre scorso, quanto il Tribunale avesse reso difficile l’analisi dei codici sorgente delle macchine per il voto.

    Anche se, secondo lo stesso team tecnico, “non sono state osservate discrepanze tra i risultati stampati dalle schede e il conteggio finale pubblicato dalle autorità elettorali”. A capo dello stesso Tribunale Elettorale Supremo, ricordiamolo, c’è sempre Alexandre de Moraes, lo stesso che ha usato il pugno di ferro contro le prime manifestazioni pro-Bolsonaro, anche ricorrendo al blocco dei conti correnti di decine di individui e aziende.

    Moraes è un alleato esplicito di Lula: nel periodo 2002-2005 era stato Segretario della Giustizia e della Difesa della Cittadinanza nello Stato di San Paolo, mentre era governatore Geraldo Alckmin, attuale Vicepresidente brasiliano nel “ticket” di Lula.

    L’attuale presidente aveva promosso Moraes, nel 2005, a capo del Consiglio nazionale di giustizia. Ancora nel periodo 2014-16, Moraes era stato nominato Segretario di Pubblica Sicurezza dello Stato di San Paolo, sempre con Alckmin governatore. Insomma, il sospetto che vi sia un conflitto di interessi nella magistratura non è così infondato.

    E a dire il vero, il dubbio sul comportamento dei magistrati brasiliani parte dall’anno precedente, da quando la Corte Suprema ha sentenziato la scarcerazione di Lula, dopo che era stato condannato nel 2017 nell’ambito della maxi-inchiesta “autolavaggio” (tangenti dalla compagnia petrolifera Petrobras e altre aziende statali a beneficio del Partito dei Lavoratori).

    La Corte Suprema ritiene che il giudice che aveva condannato Lula, Sergio Moro, poi divenuto ministro della Giustizia nel governo Bolsonaro, fosse politicamente interessato ad eliminarlo dalla competizione elettorale del 2018. I sostenitori di Bolsonaro, al contrario, ritengono che la revoca della condanna di Lula (condannato sia in primo che secondo grado di giudizio) sia stata politicamente motivata, a sua volta, per rimettere in competizione Lula contro Bolsonaro.

    E che poi sia stata sempre la magistratura ad averne favorito la vittoria. Verrebbe da dire: “chi di magistratura ferisce, di magistratura perisce”. Ma questa vicenda segnala che c’è sicuramente un problema di intreccio fra magistratura e politica in Brasile che riguarda, evidentemente, entrambe le parti.

    Cosa succederà adesso? In campo internazionale cosa cambierà con Lula rispetto alla presidenza Bolsonaro?
    Di sicuro la tensione rimarrà alta. Considerando che Lula non ha una maggioranza in Congresso e non ha neppure la maggioranza dei governi degli Stati, è probabile che sfrutterà l’indignazione per questo “golpe” per accusare gli avversari politici di eversione e fare ampio ricorso a una legislazione speciale. Già ora il Brasile è in stato di emergenza e lo sarà per tutto l’anno prossimo.

    Bolsonaro, che è attualmente in Florida, negherà ogni coinvolgimento nei fatti dell’8 gennaio, usando l’alibi di ferro della sua assenza dal Paese. Anche se i suoi nemici di sinistra ritengono che fosse all’estero proprio per crearsi un alibi e sfuggire ad un eventuale arresto.

    La destra pro-Bolsonaro, se repressa, inevitabilmente si radicalizzerà ulteriormente. Ma l’esercito, come hanno dimostrato gli eventi di questi giorni, è fedele alle istituzioni democratiche, dunque è molto lontano il pericolo di un golpe vero. In campo internazionale, Lula ha già incassato il sostegno degli Stati Uniti: il presidente Joe Biden ha espresso piena solidarietà al presidente e alla democrazia brasiliana.

    Ma i primi incontri del neo-capo di Stato brasiliano dimostrano i timori nord-americani: è in corso uno slittamento del Brasile verso il blocco orientale, come c’era da attendersi vista la tradizionale politica estera del Partito dei Lavoratori. Lula è amico sia della Russia che della Cina, per non parlare dei contatti tradizionali con la Cuba castrista e il Venezuela bolivariano.

    Uno dei suoi primissimi incontri, da presidente, è stato con Valentina Matvienko, presidente del Senato russo (quindi terza carica dello Stato). Se Bolsonaro, nel primo anno di presidenza, ventilava addirittura l’ipotesi di far entrare il Brasile nella Nato, Lula sarà sicuramente molto più “antagonista”. Anche per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, alla freddezza di Bolsonaro, che ha mantenuto una rigorosa neutralità, Lula potrebbe dimostrarsi molto più sbilanciato dalla parte di Mosca.

    Nonostante la solidarietà iniziale e l’affinità naturale fra un Biden reduce dai fatti del 6 gennaio (2021) e un Lula da quelli dell’8 gennaio (2023), i due presidenti potrebbero entrare ben presto in rotta di collisione in tutti i dossier internazionali che contano.

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