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    Che schifo le bombe italiane sganciate sui civili in Yemen. Ma il pacifismo rende poveri, le guerre dei sauditi no

    Un uomo trasporta un ferito in seguito all'attacco dei ribelli Houthi a Taiz, in Yemen Credit: Afp/ Anadolu Agency

    Fulvio Scaglione commenta per TPI la vicenda della vendita d'armi prodotte in Sardegna con cui la coalizione internazionale guidata dall'Arabia Saudita ha contribuito alla morte di decine di civili in Yemen

    Di Fulvio Scaglione
    Pubblicato il 3 Gen. 2018 alle 17:32 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:24

    “È per noi motivo di orgoglio professionale far parte di un settore che, a prescindere dalle ideologie e dai valori etici di ognuno, rappresenta un’eccellenza industriale del nostro paese”.

    È curioso che nessuno si sia ricordato di queste parole quando il New York Times ha puntato il dito sulle bombe che l’azienda tedesca Rwm produce in Sardegna, a Domusnovas, e vende all’Arabia Saudita, che poi le impiega senza risparmio nello Yemen, dove fa strage di civili.

    Perché quelle parole nell’agosto 2017 sono state messe per iscritto dai 270 dipendenti dello stabilimento di Domusnovas e sottoscritte dai 110 loro colleghi di Ghedi (Brescia), dov’è la sede centrale dell’azienda.

    Leggi anche: Bombe italiane vendute all’Arabia Saudita e sganciate sui civili in Yemen

    Siamo pur sempre provincia dell’impero. Così l’intervento del New York Times, non nuovo a inchieste sull’industria degli armamenti, ha destato molte polemiche e interventi sdegnati.

    Il tutto dopo anni in cui Rete Disarmo e Fondazione Finanza Etica si sono sbattuti per attirare con esposti e denunce un minimo d’attenzione sulla Rwm (20 mila bombe esportate nel 2016) e mentre papa Francesco stigmatizzava il commercio delle armi un giorno sì e uno no.

    Ma vuoi mettere che fighi i giornalisti americani? Nessuno comunque che abbordasse la triste e decisiva questione, che sta in pochissime parole: il pacifismo non paga.

    Alla lettera: provoca la perdita di stipendi. Nel comunicato i dipendenti della Rwm lo dicono chiaro: “Le proposte di riconversione dello stabilimento sono fantomatiche e inconsistenti e mirano ingannevolmente a far credere che qualcuno abbia veramente a cuore noi e le nostre famiglie. La verità è che molti colleghi provengono da realtà industriali fallite nel territorio e senza l’Rwm tanti di questi sarebbero oggi disoccupati”.

    Domusnovas si trova nel Sulcis Iglesiente, dove 1.250 aziende hanno chiuso nel giro di un paio d’anni.

    Li buttate via voi 270 posti di lavoro in un’area dove i titoli parlano di “profondo rosso”, “crisi drammatica”, “disperazione”?

    Oppure ci fidiamo delle capacità dello Stato italiano e lo immaginiamo pronto, con idee uomini e mezzi, a riconvertire un’azienda peraltro privata e straniera, a trasformare d’incanto le spade in aratri?

    No, non ci fidiamo. E facciamo bene. Nel settembre dell’anno scorso la Camera dei Deputati ha respinto un’ipotesi di embargo nell’esportazione di armi verso l’Arabia Saudita.

    Ma come criticare i nostri, se l’Unione Europea fa la stessa cosa? Pochi giorni prima, infatti, il Parlamento Europeo aveva votato (386 sì, 107 no, 198 astensioni) una risoluzione per invitare Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la Politica Estera, ad avviare un analogo embargo, di cui ovviamente non si è avuta traccia.

    Vale per tutti la modesta scusa adottata dal Governo italiano: l’Arabia Saudita “non è soggetta ad alcuna forma di embargo, sanzione o altra misura restrittiva internazionale o europea”.

    Certo, sappiamo che le bombe partono dalla Sardegna, i bambini yemeniti muoiono e le guerre si moltiplicano. Ma carta canta. E se non c’è non canta. Il che evita ai politici di prendere decisioni imbarazzanti che magari farebbero perdere voti.

    Tornando alla questione precedente: è vero che l’industria degli armamenti è, come scrivono i lavoratori di Domusnovas, “un’eccellenza industriale del nostro paese”? Certo, è così.

    La graduatoria del Sipri, il centro studi indipendente di Stoccolma che è la massima autorità mondiale per il commercio internazionale di armi, conferma che Leonardo (fino al 2016 Finmeccanica) è stabilmente ai primi posti tra i grandi produttori internazionali, subito dietro i colossi americani.

    E il settore tira, eccome se tira. Nel 2015 avevamo venduto all’estero armi per un valore di 7,9 miliardi di euro. Nel 2016 il boom, con un aumento dell’87 per cento fino a incassare 14,6 miliardi.

    La parte del leone quell’anno l’ha fatta appunto Leonardo, vendendo 28 caccia Eurofighter al Kuwait. Poi Ge Avio e al terzo posto, guarda un po’, Rheinmetall, la grande azienda tedesca che è proprietaria di Rwm. Sì, quella che fa le bombe a Domusnovas.

    Ora, per capire quanto “pesano” certi numeri bisogna fare qualche confronto. I quasi 15 miliardi di euro portati a casa dagli armigeri italiani corrispondono, euro più euro meno, a metà del valore della Legge di stabilità 2016.

    Mica male. E poi c’è tutto il resto. Le petromonarchie del Golfo Persico, oggi tra i massimi compratori di armi italiane e non solo, sono la grande cassaforte in cui tutti gli altri paesi cercano di mettere le mani.

    L’Autorità degli investimenti del Qatar ha un patrimonio di 335 miliardi di dollari, quello dell’Arabia Saudita dovrebbe addirittura arrivare a 2 mila miliardi di dollari con la vendita del 5 per cento delle azioni della compagnia petrolifera di Stato.

    Ma per Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, la compravendita di armi è anche una diplomazia parallela. Rifiutare di commerciare con loro e rinunciare ai relativi incassi equivarrebbe a una rottura politica.

    Così, anche se quei Paesi sono noti sostenitori di Isis, Al Nusra, Fratelli Musulmani e altri gruppi estremisti e terroristici, non subiscono conseguenze sul piano internazionale mentre la clava dell’embargo, per restare in Medio Oriente, è prontamente calata su Iran e Siria.

    Quindi noi italiani, come tutti gli occidentali, vendiamo armi anche per trovare la combinazione di quella cassaforte. Nel periodo 2014-2017 le esportazioni italiane in Arabia Saudita sono cresciute del 10 per cento e gli investimenti sauditi in Italia non sono mancati.

    In qualche caso assai clamorosi, come i 2 miliardi di euro che i tre fratelli sauditi Fawaz (Abdulaziz, Salman e Abdul Majeed) hanno riversato in un ambizioso progetto edilizio nell’ex area Falck di Sesto San Giovanni (Milano).

    Con il Kuwait stiamo migliorando le relazioni mentre il Qatar è già molto attivo nel settore italiano della moda e del lusso: si è preso la maison Valentino, grandi alberghi a Milano, Roma, Venezia e in Costa Smeralda, per un miliardo di dollari ha rilevato il mega progetto edilizio Porta Nuova a Milano.

    Vagonate di quattrini preziose per l’asfittica economia italica. Come si diceva prima, insomma, il disarmo è roba per i poveri.

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