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    “La ricchezza generata dal petrolio non è arrivata al popolo nigeriano”: intervista allo scrittore Ben Okri

    Credit: Ansa
    Di Enrico e Giuliano Mingori e Garavini
    Pubblicato il 11 Feb. 2022 alle 07:00

    «La scoperta del petrolio ha interrotto il processo di sviluppo nazionale della Nigeria che era iniziato con l’indipendenza del 1960. È stato fra le cause scatenanti della guerra civile, e le ricchezze che ha generato non sono arrivate al cittadino comune». A parlare è Ben Okri, 63 anni, tra i più importanti scrittori nigeriani viventi, vincitore nel 1991 del prestigioso Booker Prize (il suo ultimo libro tradotto in italiano è Preghiera per i vivi, una raccolta di 23 racconti edita da La Nave di Teseo). Nelle sue opere, sempre a cavallo tra realtà contingente e metafisica, c’è molto della storia recente della Nigeria, dal sanguinoso conflitto civile del 1967-1970 alla devastazione ambientale del petrolio.

    Nel suo racconto “What the tapster saw” è descritta, tramite i sogni e le visioni di un uomo, la devastazione portata dalle compagnie petrolifere nel delta del Niger. Sono situazioni che ha visto con i suoi occhi?
    «Sì, eccome. Ma un narratore non ha bisogno di vedere le cose per poterne scrivere».

    Perché era importante raccontare una storia sulla devastazione del petrolio?
    «Se avessi voluto raccontare una storia sul petrolio nel mio Paese, l’avrei affrontata in modo molto diverso, e forse anche molto meno potente. La devastazione del petrolio e delle compagnie petrolifere fa parte della coscienza di tutti noi nigeriani, ma non è un’esperienza separata dal resto. Dalla corruzione, dalla bellezza, dalla resilienza: è tutto mescolato. Ecco, quella volevo che fosse una storia mescolata con tutto il resto».

    L’industria petrolifera è qualcosa di alieno rispetto alla storia e alle tradizioni della Nigeria?
    «È aliena non solo rispetto alle tradizioni nigeriane, ma rispetto alla stessa condizione umana dal suo arrivo. La scoperta del petrolio è stata un’esplosione nelle tradizioni di qualsiasi terra».

    Per la Nigeria sarebbe stato meglio lasciarlo dov’era e rinunciare a estrarlo?
    «La maggior parte dei problemi della Nigeria sono venuti con la scoperta del petrolio. Il petrolio ha portato molta ricchezza al mio Paese, ma allo stesso tempo è stato fra le cause scatenanti della guerra civile, ha alimentato la corruzione, e quella ricchezza che ha generato non è arrivata al cittadino comune. Non ha portato nuovi ospedali nelle zone rurali, né alloggi decenti, né buone strade. Quei soldi avrebbero potuto cambiare il volto della Nigeria. Ma non è stato così».

    Quindi meglio lasciarlo dov’è…
    «Dal mio punto di vista, sarebbe stato meglio non estrarlo».

    E se a gestire i giacimenti petroliferi fosse una compagnia nazionale?
    «Sarebbe molto complicato. In Nigeria si parlano più di 100 lingue diverse, ci sono innumerevoli tribù: chi dovrebbe gestire lo sfruttamento e chi rimanere escluse? Sarebbe l’inizio di un nuovo conflitto civile».

    Quella delle compagnie petrolifere straniere in Nigeria è una nuova forma di colonialismo?
    «C’è chi lo chiama così. Non lo so. Vorrei solo che la Nigeria abbandonasse il petrolio e si orientasse verso un modello di economia più sostenibile».

    Per esempio?
    «Quello che c’era prima: l’agricoltura. Anche perché il petrolio prima o poi si esaurirà. La Nigeria deve decidere che nazione vuole essere».

    Lo dice anche pensando al cambiamento climatico?
    «Assolutamente sì. Dovreste visitare la Nigeria per vedere i danni che sono stati arrecati dall’estrazione del petrolio».

    Ci descriva questi danni attraverso immagini?
    «Interi terreni coltivati coperti da chiazze di petrolio: non potranno riprendersi per almeno un centinaio di anni. Fiumi che non sono più fiumi. Luoghi delle dimensioni di una piccola nazione europea distrutti, devastati. Alberi che non sembrano più alberi. Qui la terra non è più terra, è una chiazza di petrolio. In quelle aree non crescerà niente per generazioni. Un autentico sterminio».

    La Nigeria vanta premi Nobel, grandi accademici, grandi musicisti: può essere considerata una “superpotenza culturale” per l’area dell’Africa subsahariana. Non crede che il Paese avrebbe tutte le carte in regola per imporsi come modello positivo per gli altri Stati esportatori di petrolio, con un ruolo non più da “preda” delle multinazionali straniere, ma da protagonista?
    «Certo. La Nigeria è una “superpotenza culturale”. Ma i nostri intellettuali sono sempre stati migliori dei nostri politici. Perché il Paese possa diventare un modello avremmo bisogno di una nuova generazione di politici. Intravedo qualche possibilità per il futuro. Ma ci vorrà tempo».

    Che giudizio dà del Governo Buhari attualmente in carica?
    «Stiamo aspettando la prossima generazione di politici, che sarà migliore per il Paese rispetto a questa…».

    Significa che non è soddisfatto.
    «Il Governo ha da poco rimosso il blocco di Twitter che era in vigore da mesi. Questo racconta molto della condizione democratica della Nigeria».
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