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    Bangladesh, uccisa la voce della comunità LGBT

    L’attivista per i diritti dei gay Xulhaz Mannan e l’attore di teatro Tanay Majumder sono stati uccisi a coltellate lunedì 25 aprile a Dacca, capitale del Bangladesh

    Di Alessio Fratticcioli
    Pubblicato il 29 Apr. 2016 alle 11:08 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:41

    L’attivista per i diritti civili Xulhaz
    Mannan e l’attore di teatro Tanay Majumder sono stati uccisi a coltellate
    lunedì 25 aprile a Dacca, la capitale del Bangladesh, da sei uomini che hanno
    fatto irruzione nell’appartamento in cui si trovavano.

    Mannan, 35 anni,
    lavorava per US Aid ed era il fondatore di Roobpaan, l’unica rivista bengalese
    che si occupa dei problemi della comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e
    transessuali). Fuggendo dalla scena del delitto, gli assassini avrebbero gridato
    “Allahu Akbar” (“Dio è grande”).

    L’azione è stata rivendicata da Ansar al-Islam, un gruppo
    terroristico che si presenta come il braccio di al-Qaida in Bangladesh. I
    criminali hanno specificato che le vittime sono state colpite per via del loro
    attivismo a favore dei diritti civili.

    In una escalation di farneticanti
    banalità cospirazioniste, gli estremisti hanno scritto che Mannan e Majumder
    stavano “lavorando giorno e notte per promuovere l’omosessualità… con l’aiuto
    dei loro padroni, i crociati degli Stati Uniti, e i loro alleati indiani”.
    Secondo i terroristi il duplice omicidio sarebbe un “attacco benedetto da Dio”.

    Mannan era un attivista impegnato a dare voce alla
    frustrazione delle persone LGBT in Bangladesh, dove le relazioni non
    eterosessuali sono considerate un crimine. In base alla mai abrogata legge
    anti-sodomia del 1860 – un retaggio dell’epoca coloniale britannica – i rapporti
    omosessuali sono definiti “contro natura” e possono essere puniti, al pari
    della zooerastia (il sesso con animali), con una pena fino a 10 anni di
    reclusione.

    In un articolo del maggio 2014, Mannan descriveva la difficile
    quotidianità dei gay e delle lesbiche nel paese asiatico:

    Un paese dove le religioni predominanti dicono che sei un
    peccatore, la legge dice che sei un criminale, le norme sociali dicono che sei
    un pervertito, e la cultura ti considera come qualcosa di importato
    dall’estero.

    L’odio degli estremisti religiosi nei confronti di Mannan si
    era infiammato nel 2014 con il lancio della rivista Roobpaan, che per la prima
    nel paese ha dato voce all’invisibile comunità LGBT. Tre settimane prima di
    trovare la morte, l’attivista aveva ulteriormente irritato gli omofobi con il
    suo tentativo di organizzare un morigerato Gay Pride nella capitale.

    L’uomo
    aveva continuato a lavorare all’evento, che i tradizionalisti vedono come
    un’intollerabile eresia, nonostante le copiose minacce di morte ricevute. Il
    raduno arcobaleno è stato poi impedito dalla polizia, che ha arrestato Mannan
    insieme ad altri tre attivisti.

    In Bangladesh nel corso degli ultimi anni si sono
    intensificati gli attacchi mortali contro persone non in linea con le
    interpretazioni più integraliste dell’Islam: nel solo mese di aprile
    si contano quattro vittime. Due giorni prima di Mannan e Majumder aveva perso
    la vita, sempre ad opera di estremisti islamici, il cinquantottenne Rezal Karim
    Siddique, un professore universitario accusato di “ateismo”, mentre all’inizio
    di aprile uno studente ateo, Nazimuddin Samad, era stato ammazzato per strada a
    colpi di machete per dare “una lezione ai blasfemi”.

    In un comunicato del 2015, Ansar al-Islam aveva minacciato di
    morte “tutti coloro che insultano il Profeta [Maometto], la religione
    [islamica] o Dio in qualunque modo con scritti, parole o atti. Chiediamo a Dio
    di distruggere i suoi nemici — si legge nel comunicato — e di aiutare i
    mujahideen a distruggere crociati, infedeli e apostati”.

    Nel paese del Bengala la situazione delle comunità non
    islamiche, circa il 10 per cento della popolazione, sta peggiorando, scrive Paolo
    Affatato su La Stampa, e basta poco per entrare nel mirino del terrorismo di
    matrice maomettana:

    Basta dire o scrivere che si vuole “uno stato laico” oppure
    che “non si crede in Allah”. O basta professare una fede che non sia quella
    islamica. Basta questo per diventare potenziale vittime degli omicidi mirati
    promossi, in una scia che si allunga tragicamente, da gruppi estremisti e
    terroristi bengalesi, che sembrano aver iniziato una spietata campagna di “purificazione” di ogni elemento che, secondo la loro ideologia, non è conforme alla loro
    ristretta visione della presunta ortodossia islamica.

    In Bangladesh, quarto paese musulmano al mondo per
    popolazione dopo Indonesia, Pakistan e India, l’Islam si
    impose in seguito alla conquista turca del 1202. Nel paese del delta del Gange,
    che fu prima indù e poi buddista, oggi i maomettani sono 148 milioni su 166
    milioni di abitanti (circa il 90 per cento). Gli indù sono circa 15 milioni e i
    cristiani 1,6 milioni (300mila cattolici).

    Alessio Fratticcioli è un giornalista italiano fondatore del sito Asia blog e collabora con TPI dal sudest asiatico

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