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    Aung San Suu Kyi ha intenzione di guidare il Myanmar nonostante le sia vietato

    La costituzione del Myanmar prevederebbe che il premio nobel Aung San Suu Kyi non possa diventare presidente

    Di TPI
    Pubblicato il 5 Nov. 2015 alle 11:19 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 19:27

    In Myanmar, la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi ha dichiarato che sarà lei alla guida del Paese se il suo partito, National League for Democracy, vincerà le storiche elezioni che si terranno l’8 novembre 2015.

    Aung San Suu Kyi è data per favorita nella tornata elettorale, ma la Costituzione del Myanmar contiene una norma specifica per cui il premio Nobel per la pace non potrà diventare presidente anche se il suo partito dovesse ottenere la maggioranza dei voti.

    Suu Kyi ha sposato nel 1972 un cittadino inglese, Michael Aris, e i suoi due figli posseggono il passaporto britannico, e questo le impedirebbe di divenire presidente secondo l’attuale carta costituzionale.

    Quando le sono state chieste spiegazioni su cosa intendesse con quella dichiarazione, Suu Kyi ha detto “è molto semplice, prenderò io le decisioni vere e proprie”, mentre formalmente un altro esponente del suo partito sarà presidente.

    “Starò al di sopra del presidente” ha spiegato a centinaia di reporter disorientati che si sono riuniti il 5 novembre presso la sua abitazione, che è stata per anni la sua prigione fino a quando, a seguito delle elezioni del 2010, il Paese è passato dalla dittatura alla democrazia. “Guiderò il governo”, ha aggiunto.

    Suu Kyi ha affermato che la Costituzione non proibisce in alcun modo che qualcuno possa guidare l’operato del presidente, fa solo un breve e vago accenno al fatto che “il presidente ha precedenza su tutte le altre persone.”

    Nel 1988, dopo aver completato i suoi studi a Oxford, Aung San Suu Kyi torna in Myanmar e fonda un movimento non violento che ha come scopo il raggiungimento della democrazia e il rispetto dei diritti umani nel Paese. Suu Kyi si dichiara contraria alle severe regole imposte dall’allora dittatore U Ne Win. Nel 1989 viene condannata agli arresti domiciliari, dove rimane fino al 2010. Il suo impegno nella lotta contro la dittatura le ha fatto vincere il Premio Nobel per la Pace nel 1991. 

    Alle domande dei giornalisti la donna ha risposto che il suo scopo è creare un governo di riconciliazione, anche se otterrà il 100 per cento dei seggi. Non ha specificato se nel suo governo vi saranno dei ministri dell’attuale partito al potere, l’Union Solidarity and Development party, guidato dall’ex comandante dell’esercito e attuale presidente Thein Sein.

    Quando il National League for Democracy si presentò alle elezioni del 1990 vinse con una maggioranza schiacciante, ma i risultati elettorali furono annullati dalle forze armate, che arrestarono gli esponenti del partito.

    Quelle che si svolgeranno domenica 8 novembre potrebbero essere però le prime elezioni libere e giuste per la Repubblica dell’Unione del Myanmar, un Paese che, dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1948, è governato da un regime militare sin dal colpo di stato del 1962.

    L’Unione europea manderà nel Paese 150 supervisori per controllare che le elezioni si svolgano correttamente, e alcune organizzazioni internazionali veglieranno che ciò avvenga nelle varie zone del Myanmar.

    “Se vi sarà una frode elettorale sta alla comunità internazionale rilevarla e condannarla”, ha dichiarato Aung San Suu Kyi. ” Speriamo che le cose vadano per il meglio ma siamo preparati al peggio”. Quando le è stato chiesto come sarà il suo governo ha risposto ” Non può sicuramente essere peggio di quello precedente”.

    Tuttavia Suu Kyi è stata criticata dalle organizzazioni per i diritti umani di non aver accennato al fatto che, per la prima volta da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza, è stato negato il diritto di voto ad oltre un milione di musulmani Rohingya.

    Il governo si giustifica dicendo che si tratta di immigrati clandestini provenienti dal Bangladesh, sebbene molte famiglie di Rohingya si siano stabilite nel paese da varie generazioni. Migliaia di persone hanno dovuto lasciare le loro case nella regione del Rakhine perché perseguitati per motivi religiosi, ma Suu Kyi ha obbiettato che non bisogna ingigantire i piccoli problemi e che lo scopo del suo governo resta la riconciliazione.

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