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    Attacco alla Siria?

    Il capo di Stato Maggiore Usa delinea le possibilità di intervento militare

    Di Eleonora Vio
    Pubblicato il 23 Lug. 2013 alle 17:18 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 18:46

    “Every military option in Syria sucks.” Questo il titolo della breve analisi pubblicata dal reporter statunitense Gordon Lubold su Foreign Policy in risposta alla lettera dell’ufficiale capo dell’esercito americano sui costi, rischi e benefici di un possibile coinvolgimento statunitense nel conflitto siriano.

    Messo alle strette dal presidente della commissione delle forze armate del Senato, il generale Martin Dempsey evidenzia “le poche accettabili opzioni” nel caso gli Stati Uniti si decidano a intervenire militarmente in quella guerra settaria che conta centinaia di migliaia di vinti, tra vittime e rifugiati, e nessun vincitore.

    Piccola premessa. “So che la decisione di fare uso della forza,” afferma Dempsey in quella che è la più lucida analisi della posizione del Pentagono sulla Siria a oggi, “non è presa alla leggera da nessuno di noi. Non è niente di meno che un vero e proprio atto di guerra.”

    Le possibilità tra le quali scegliere sono cinque. Dare assistenza tecnica e assistere l’opposizione; condurre attacchi limitati e ben mirati; stabilire una no-fly zone dal modello libico; creare delle zone cuscinetto, o controllare le armi chimiche nelle mani del governo di Damasco.

    Ognuna delle citate richiederebbe un enorme sforzo economico da parte statunitense – si parla di 380 milioni di euro al mese per la prima opzione e di 750 milioni di euro al mese per le quattro a venire – ed è Dempsey il primo ad accorgersi che “la situazione attuale è particolarmente critica a causa dei tagli nel budget militare e dell’incertezza fiscale.”

    Ancora, l’ufficiale capo spiega come ciascuna delle scelte plausibili possa essere valida solo se intesa come parte di una strategia comprensiva intrapresa dal governo statunitense, dove si definiscano gli obiettivi in coordinazione con partner e alleati. Anche allora, bisogna “prepararsi per le indesiderate conseguenze delle nostre azioni.”

    Senza sbilanciarsi, Dempsey concede che un intervento militare potrebbe fare la differenza. “Mentre stiamo soppesando le nostre opzioni,” scrive infatti, “dovremmo essere in grado di concludere con una certa confidenza che l’uso della forza ci muoverebbe in direzione del risultato sperato.”

    Da vedere se, una lettera che definire ambigua è poco, basterà per convincere i senatori della commissione delle forze armate a nominare Dempsey capo dello Stato Maggiore per la seconda volta di fila.

    Intanto, più di 90 mila siriani sono stati uccisi dall’inizio dell’insurrezione e 1.7 milioni sono stati costretti a trovar rifugio nei Paesi circostanti.

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