Il più grande arsenale del Medio Oriente, con missili in grado di colpire ovunque nella regione. Oltre all’obiettivo ufficiale della fine del programma nucleare e al tentativo di “regime change”, uno dei motivi per cui Israele ha deciso di attaccare l’Iran è quello di contrastare per tempo la minaccia del programma missilistico di Teheran.
I missili balistici rappresentano l’arma più efficace a disposizione della Repubblica islamica, con cui è riuscita a rispondere agli attacchi israeliani nonostante i ripetuti bombardamenti dei siti di lancio e l’uccisione fulminea dei vertici militari.
Per giorni Tel Aviv, Haifa e la città meridionale di Be’er Sheva sono stati colpiti con regolarità da missili iraniani, alcuni dei quali riescono a evadere le sofisticate, e costose, difese israeliane. Nella prima settimana del conflitto circa il 10 per cento dei missili è riuscito a penetrare il sistema di difesa stratificato che protegge lo Stato ebraico che inizia a essere a corto di intercettori, almeno secondo fonti statunitense citate dal Wall Street Journal.
Anche l’Iran sembra preoccupata della gestione delle proprie scorte. Dall’attacco israeliano del 13 giugno l’Iran ha lanciato più di 400 missili, oltre a centinaia di droni. Di questi la metà, circa 200, sono stati lanciati nelle prime ore della risposta a Israele,
rispetto a una disponibilità che veniva stimata in oltre tremila missili (o 2.500 dagli israeliani) prima del conflitto, quando l’Iran riusciva a produrre, secondo gli Stati Uniti, circa 50 missili al mese.
Con gittate di oltre 1.000 chilometri e viaggiano a velocità superiori a quella del suono, i missili lanciati da Teheran sono in grado di raggiungere il suolo israeliano in pochi minuti. La scelta finora è ricaduta prevalentemente sui missili balistici che, a differenza di quelli da crociera, seguono una traiettoria curva, uscendo dall’atmosfera terrestre per poi rientrare dirigendosi verso il bersaglio a velocità ancora maggiori, rendendo ancora più difficile l’intercettazione da parte dei missili.
Modelli in uso
Per colpire Israele, l’Iran ha fatto ricorso a missili a medio raggio come gli Emad, che hanno una gittata di circa 1.700 chilometri e trasportano testate da circa 750 chili. Invece di seguire una traiettoria balistica fissa, l’Emad può modificare la rotta durante il rientro per eludere radar e intercettori. Sebbene il propellente liquido richieda tempi prolungati di rifornimento, è considerato più efficiente dal punto di vista energetico, consentendo l’utilizzo di una testata relativamente pesante. Un altro missile impiegato è il Kheibar Shekan, Il primo razzo iraniano a utilizzare combustibile solido, che consente di eliminare le procedure per il rifornimento riducendo i tempi di lancio. Ha una gittata di circa 1.400-1.500 chilometri, il che significa che può raggiungere Israele solo se lanciato dalle regioni occidentali dell’Iran. Anche se più piccola, la testata da 500-600 chili è grande per questa classe di missile. Durante la fase di rientro nell’atmosfera, è in grado di compiere manovre per schivare gli intercettori.
Un altro missile di cui si è parlato in questi giorni è lo Shahid-Haj Ghassem, che prende il nome dal generale Ghassem Soleimani, comandante della Forza Quds assassinato dagli Stati Uniti nel 2020. Presentato quello stesso anno, è un missile a combustibile solido che viene classificato dall’Iran come ipersonico, sostenendo che può raggiungere velocità fino a Mach 12. Gli esperti occidentali contestano invece questa classificazione a causa della sua mancanza di manovrabilità tridimensionale. È dotato di una testata da 500 chili con una gittata di circa 1.400 chilometri ed è considerato estremamente preciso.
Secondo l’esperto israeliano Tal Inbar, il missile iraniano più potente è il Khorramshahr, il più veloce e il più pesante tra quelli a disposizione di Teheran. Presentato nel 2017, ha una gittata di circa duemila chilometri e può trasportare una testata fino a 1.800 chili, raggiungendo velocità fino a Mach 14. Si ritiene che Teheran possieda decine o poche centinaia di questi missili, in grado di radere al suolo interi isolati. Possiede invece migliaia dei modelli più vecchi come l’Emad.
Si ritiene che derivi, almeno in parte, dall’Hwasong-10 nordcoreano. La più recente variante del missile è il Khorramshahr-4/Kheibar, presentato nel 2023, che potrebbe avere una gittata ancora superiore alla versione del 2017, visto che il modello nordcoreano a cui fa riferimento ha una gittata stimata di 3.000 chilometri. Le varianti del Khorramshahr possono, secondo Teheran, anche trasportare diverse testate più piccole.
Affari internazionali
Ma lo sviluppo del programma balistico coinvolge anche attori esterni. La collaborazione con la Corea del Nord risale, ad esempio, agli anni Ottanta, quando l’Iran ha deciso di sviluppare capacità balistiche per contrastare l’Iraq nella guerra del 1980-88. A seguito della Rivoluzione islamica del 1979, e del drastico peggioramento delle relazioni con l’Occidente, Teheran non era più stata in grado di acquisire pezzi di ricambio per la sua aviazione, considerata prima una delle più temibili della regione. Per rispondere agli assalti degli iracheni sulle proprie città, con aerei, artiglieria e gli stessi missili balistici, l’Iran si rivolse alla Libia, da cui nel 1984 ricevette la sua prima fornitura di 20 missili sovietici Scud-B. Altri furono poi forniti dalla Siria e dalla Corea del Nord, che offrì a Teheran anche i missili Scud-C, ribattezzati Shahab-2. Quando poi la Repubblica islamica decise di ampliare il proprio programma missilistico per raddoppiare la gittata di 500 chilometri degli Shahab-2 si rivolse nuovamente alla Corea del Nord, come ricorda la ricercatrice Paulina Izewicz in uno studio per lo “EU Non-Proliferation Consortium“, realizzando lo Shahab-3, basato sul Nodong nordcoreano.
Più di recente si è parlato anche del possibile ruolo della Cina nelle forniture di componenti per produrre missili balistici. A inizio giugno, il Wall Street Journal ha riportato che Teheran ha ordinato ad aziende cinesi una quantità di perclorato di ammonio sufficiente a produrre fino a 800 missili. Il materiale, usato per produrre missili a combustibile solido, sarebbe dovuto arrivare nei prossimi mesi. A gennaio, il quotidiano aveva riportato che due navi iraniane attraccate in Cina erano cariche di oltre mille tonnellate di perclorato di sodio, un precursore per la produzione di perclorato di ammonio. Il materiale, sufficiente ad alimentare circa 260 missili a corto raggio, è poi stato consegnato ai porti iraniani tra la metà di febbraio e fine marzo.
Proxy regionali
Il programma missilistico rappresenta il punto di forza della difesa dell’Iran, che rimane l’unico Paese del Golfo ad aver tentato di creare un’industria militare in grado di produrre sistemi d’arma moderni.
Anche per questo Teheran non ha mancato di fornire sostegno militare, oltre che economico e politico, ai propri alleati nel cosiddetto “Asse della resistenza”. La rete di milizie e gruppi politici che si estendeva dallo Yemen al Libano, passando per Iraq, Palestina e Siria, è stata ridimensionata dagli attacchi israeliani successivi al 7 ottobre e dalla caduta del regime di Bashar al-Assad. Ma rappresenta ancora una minaccia per gli interessi occidentali nella regione. In risposta alla campagna israeliana nella Striscia di Gaza, il gruppo sciita Houthi, che controlla la capitale e le aree più popolose dello Yemen, è riuscito a rallentare il traffico marittimo nel Mar Rosso, mai tornato ai livelli precedenti il novembre 2023.
Gli Houthi possiedono l’arsenale più avanzato di qualsiasi organizzazione all’interno del cosiddetto “Asse della resistenza”. È infatti l’unico gruppo con missili balistici a medio raggio e missili balistici antinave, che hanno usato sia contro Israele che per fermare il transito di navi nel Mar Rosso, per un totale di quasi 500 attacchi dal 19 ottobre 2023. Nel timore di essere attaccate, le navi che viaggiavano dall’Europa all’Asia hanno così scelto di evitare la tradizionale rotta del Canale di Suez che conduceva al Mar Rosso e al Golfo di Aden, facendo lievitare i costi dei trasporti in tutto il mondo.
Sia gli Stati Uniti che l’Arabia Saudita accusano da tempo l’Iran di fornire armi alle milizie sciite, accusa che Teheran nega. Secondo Washington, Teheran ha fornito agli Houthi missili fin dal 2015, l’anno dell’intervento della coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti nella guerra civile yemenita.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite l’Iran riesce a inviare armi e componenti via mare, usando anche barche tradizionali, note come “dhow”. Riguardo i sequestri di carichi di armamenti nel Mar Arabico, il rapporto del 2022 affermava che migliaia di armi sequestrate provenivano da un singolo porto, quello di Jask, nel sud-est dell’Iran. Gli esperti parlavano di «un modello comune di fornitura, probabilmente proveniente dalle scorte governative, che coinvolge i dhow nel Mar Arabico, che trasportano armi in Yemen e Somalia». Il trasferimento di materiale bellico è stato citato dalle forze israeliane come motivo per il raid che a inizio giugno ha colpito il porto yemenita di Hodeidah, già colpito ad aprile dai raid statunitensi in cui hanno perso la vita 74 persone.
I missili sono stati citati dalle forze armate israeliane come una delle due minacce presentate da Teheran, assieme al programma nucleare. Dopo i duri colpi subiti dagli alleati del cosiddetto “Asse della resistenza”, le autorità israeliane sostengono che l’Iran avrebbe voluto imprimere un’accelerazione significativamente al programma missilistico nazionale iraniano. Tanto che il capo di Stato maggiore israeliano, Eyal Zamir, ha dichiarato che Israele ha dato il via al conflitto sapendo «che entro circa due anni si prevedeva che (l’Iran) avrebbe posseduto circa ottomila missili». Una possibilità inaccettabile per Israele: «Ci hanno costretto a colpire e a sferrare un colpo preventivo».
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