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    Cosa succede se Armenia e Azerbaigian fanno davvero pace

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 10 Lug. 2025 alle 14:39

    Con due comunicati gemelli, il Primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan e il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev hanno annunciato che il 10 luglio (oggi) si sarebbero incontrati ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, per tenere colloqui “nell’ambito del processo di pace” tra i due Paesi, i cui rapporti costellati da guerre e ostilità sono stati sempre particolarmente tesi.

    Già prima dello scioglimento dell’Unione Sovietica, infatti, i rapporti a livello etnico e tra le due repubbliche sovietiche si fecero particolarmente incandescenti dopo che la regione del Nagorno-Karabakh, a maggioranza armena ma ricadente nella repubblica socialista azera, votò per passare alla repubblica socialista d’Armenia, esacerbando i rapporti tra le due etnie che sfociarono in una guerra iniziata dopo il crollo dell’URSS. Conflitti che hanno portato nella regione alla nascita della repubblica autoproclamata dell’Artsakh, riconosciuta esclusivamente da Yerevan (il suo territorio de iure continuava a essere azero), e che hanno visto la conclusione alla fine del 2023, con la vittoria dell’Azerbaigian e l’accordo per lo smantellamento di questa entità statale. Se Baku ha preso il controllo della regione contesa, se ancora rimangono molte incognite sulla popolazione di etnia armena che vive in quella terra, sembra avviata, come anche l’incontro di oggi dimostra, la strada della normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Azerbaigian, una strada che tuttavia non riguarda solo la fine della guerra ma va a inserirsi in un contesto geopolitico ben più ampio.

    L’Armenia, da diversi anni, si è mostrata molto insofferente verso la Russia, per molto tempo suo principale alleato. L’amicizia tra Yerevan e Mosca è stata per molto tempo una scelta quasi obbligata: con la repubblica caucasica stretta tra due Paesi con cui i rapporti risultavano pessimi come l’Azerbaigian e la Turchia (sia per i conti ancora aperti sul riconoscimento del genocidio armeno, sia per il sostegno di Ankara a Baku), con scarse risorse naturali e priva di accesso al mare, sviluppare un rapporto quasi di dipendenza dalla Russia è stato una conseguenza naturale, così come guardare anche a un altro vicino come l’Iran.

    I rapporti hanno iniziato a deteriorarsi nel 2018, quando l’Armenia è stata teatro di una serie di proteste che hanno portato alle dimissioni del premier filorusso Serzh Sargisyan e l’elezione dell’europeista Nikol Pashinyan. In seguito a questo, nel 2020 un nuovo conflitto armato in Nagorno-Karabakh ha visto un atteggiamento particolarmente freddo da parte della Russia, restia a intervenire, e che ha concluso per farsi garante di un cessate il fuoco che prevedeva il controllo del corridoio di Lachin tra Armenia e Artsakh da parte di peacekeeper russi. La ripresa dei combattimenti nel settembre 2022 avvenne con la Russia alle prese con la guerra in Ucraina, nello specifico con la controffensiva di Kharkiv, che portò Mosca a non rispondere alla richiesta di sostegno da parte dell’Armenia in nome dell’articolo 4 dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), l’alleanza militare a guida russa. Questo punto di non ritorno ha portato Yerevan a congelare la sua presenza nell’organizzazione, in una situazione resa ancora più tesa con l’offensiva azera del settembre 2023, che ha portato alla fine della repubblica dell’Artsakh, in cui il non intervento russo ha portato a un ulteriore peggioramento dei rapporti. Peggioramento che ha portato sempre di più il governo armeno a cercare sponde altrove, approfondendo ad esempio il rapporto con la Francia anche per via della storica comunità originaria del Paese caucasico lì presente.

    In questo contesto, la normalizzazione dei rapporti con l’Azerbaigian, che in prospettiva potrebbe portare a una storica normalizzazione dei rapporti con la Turchia, va vista anche come parte del riallineamento geopolitico dell’Armenia, un percorso che passa anche da uno specifico lembo di terra: il cosiddetto “corridoio di Zangezur”.

    La provincia armena di Syunik, dove sorgono i monti Zangezur, è la più meridionale della repubblica e si trova incuneata tra l’Azerbaigian – a est – dalla sua exclave di Nakhchivan. Per anni Baku ha chiesto di poter usare questo corridoio – dove in epoca sovietica transitavano due rotte ferroviarie – per i collegamenti tra le due parti del territorio, facendo anche riferimento a una clausola dell’accordo di cessate il fuoco del 2020 che prevede lo sblocco di tutti i collegamenti di trasporto ed economici tra Azerbaigian e Armenia. La soluzione di questa situazione non rappresenterebbe però solo una svolta nei rapporti tra i due Paesi, ma anche nell’intero sistema infrastrutturale e commerciale euroasiatico.

    Una rotta commerciale terrestre tra Cina e Kazakistan, che poi raggiunga l’Azerbaigian tramite il Caspio e da lì, tramite Zangezur e l’exclave di Nakhchivan, la Turchia, potrebbe collegare la Cina e l’Europa senza dover passare per due Paesi particolarmente colpiti dalle sanzioni occidentali come Russia e Iran: un altro segno di come l’Armenia si stia gradualmente cercando di spostare verso l’Occidente.

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