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    Ancora scontri al Cairo e a Port Said

    La condanna a morte di 21 imputati nel processo della strage di Port Said da parte del tribunale del Cairo accende nuove proteste

    Di Michele Teodori
    Pubblicato il 11 Mar. 2013 alle 06:43 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:33

    Violenti scontri hanno incendiato le strade del Cairo e di Port Said nella giornata di sabato, quando il tribunale del Cairo ha confermato la condanna a morte di 21 imputati e la detenzione di altri 24 coinvolti nel peggior disastro calcistico nella storia dell’Egitto.

    La strage è avvenuta nel febbraio dell’anno scorso, quando quasi 80 spettatori sono rimasti uccisi in disordini nello stadio dopo una partita tra l’Al Alhy del Cairo e l’Al Masry di Port Said, la squadra locale. Le sommosse di sabato fanno seguito a un mese di continue violenze per le strade della città a nord dell’Egitto, un bagno di sangue in cui oltre 50 persone sono morte e centinaia sono rimaste ferite negli scontri con la polizia.

    Per tutto febbraio Port Said è stata infatti paralizzata da scioperi, rivolte e saccheggi. I residenti credono che i condannati nella sentenza di gennaio siano stati sacrificati per placare le violenze dei tifosi dell’Ahly al Cairo.

    A Port Said le proteste hanno portato più di 2 mila manifestanti a cercare di bloccare il traffico di traghetti nel canale di Suez sciogliendo le barche nel porto dai loro ormeggi.

    In entrambe le città, Cairo e Port Said, vi è la convinzione che il massacro allo stadio nel 2012 si stato almeno in parte responsabilità dalla polizia, corpo armato che riscuote l’odio di tutta la popolazione per la brutalità usata per arginare le manifestazioni.

    Proprio nella serata di ieri gli agenti di polizia in più di un terzo delle province egiziane sono andati in sciopero. La polizia si è anche rifiutata di proteggere la casa del presidente Mohamed Morsi nel delta del Nilo. Sostengono che il regime li stia usando come pedine riluttanti nella repressione dei manifestanti che ne chiedono la caduta.

    Ahab Kamel, un portavoce di un sindacato informale di agenti di polizia, ha dichiarato che il corpo vuole mantenere la stessa distanza da tutti i partiti politici. Kamel ha detto di indossare abiti civili per paura di essere visto in uniforme da una popolazione locale furiosa.

    Lo sciopero è l’ultima crepa che emerge nello Stato egiziano. Si aggiunge anche una nuova dimensione al dibattito in corso in merito agli abusi della polizia. Attivisti sostengono che le forze dell’ordine hanno ripreso l’uso della tortura, e in alcuni casi, dell’omicidio premeditato.

    Un recente rapporto di un gruppo di avvocati dei diritti umani sostiene ci siano state almeno 127 vittime a causa della negligenza della polizia dallo scorso dicembre.

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