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    Chi è l’ex agente della Cia arrestato e accusato di essere una “talpa” cinese

    AFP PHOTO / SAUL LOEB

    L'arresto è legato all'indagine dell'Fbi sulla scomparsa di circa 20 tra informatori e agenti dell'intelligence statunitense in Cina

    Di Gianluigi Spinaci
    Pubblicato il 17 Gen. 2018 alle 16:07 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 00:25

    Un ex ufficiale della Cia è stato arrestato negli Stati Uniti con l’accusa di detenzione illegale di informazioni classificate.

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    Come riportato dal dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, Jerry Chun Shing Lee, un cittadino cinese naturalizzato statunitense di 53 anni, è stato fermato all’aeroporto Jfk di New York il 15 gennaio.

    Lee ha lavorato per la Cia dal 1994 al 2007, quando si è trasferito a Hong Kong dopo aver dato le dimissioni.

    L’arresto è legato all’indagine del 2012 dell’Fbi sulla rete di spionaggio della Cia in Cina, dove dal 2010 sono stati uccisi o arrestati circa 20 tra informatori e agenti dell’intelligence statunitense.

    I sospetti si erano concentrati sulla presenza di una talpa che informava i cinesi sull’identità degli agenti americani in incognito.

    Secondo i media statunitensi, gli investigatori hanno individuato in Lee il possibile colpevole.

    Jerry Chun Shing Lee ha prestato servizio nell’esercito degli Stati Uniti dal 1982 al 1986.

    Ha iniziato la sua carriera nella Cia nel 1994 come agente addestrato in comunicazioni segrete, rilevamento di sorveglianza, reclutamento, gestione e pagamento di agenti o informatori.

    Riferisce il New York Times che quando Lee diede l’addio alla Cia nel 2007, “quelli che lo conoscevano dissero che lasciò l’agenzia insoddisfatto dopo che la sua carriera si era fermata”.

    Lee è rimasto a Hong Kong fino al 2012 per poi tornare negli Stati Uniti per vivere nel nord della Virginia, attratto da una finta offerta di lavoro.

    In quel periodo l’indagine dell’Fbi sulla scomparsa di tutti quegli agenti in Cina era in corso.

    Secondo quanto riferito dal dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, gli investigatori perquisirono le sue stanze d’albergo alle Hawaii e in Virginia, trovando due piccoli libri con documenti segreti contenenti note scritte dallo stesso Lee con “nomi veri e numeri di telefono di beni e impiegati della Cia nascosti”.

    Lee nel 2013 lasciò nuovamente gli Stati Uniti dopo essere stato interrogato in cinque occasioni dagli agenti dell’Fbi, senza mai fare nessuna ammissione sul possesso dei quaderni contenenti informazioni classificate.

    Il dipartimento di giustizia afferma che Lee è stato accusato “di una conservazione illegale di informazioni di difesa nazionale e rischia una pena massima di 10 anni di carcere, se condannato”.

    A suo carico non è stata inserita l’accusa di spionaggio, che può portare alla pena di morte, perché, come risulta da alcuni rapporti, gli Stati Uniti non vorrebbero rivelare informazioni segrete in tribunale.

    Lee è comparso il 16 gennaio davanti alla corte federale di Brooklyn dopo essere stato arrestato all’aeroporto di New York.

    La storia di Lee e le indagini dell’Fbi sulla scomparsa di agenti e informatori della Cia rappresentano solo l’ultimo capitolo delle vicende legate allo spionaggio tra Cina e Stati Uniti.

    Negli ultimi anni, infatti, sono venute alla ribalta le preoccupazioni relative al cyber spionaggio.

    Nel maggio 2014, cinque ufficiali dell’esercito cinese sono stati accusati di aver hackerato società statunitensi nel tentativo di ottenere vantaggio in termini di competizione industriale.

    Una settimana più tardi, era stata la Cina ad accusare gli Stati Uniti di usare internet per spiare i suoi leader e le principali istituzioni governative.

    All’inizio di quell’anno, Edward Snowden sosteneva che la National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti stava hackerando migliaia di reti di computer cinesi.

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