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    I talebani entrano a Kabul, la onlus che si occupa dei diritti delle donne distrugge tutti i documenti: “Rischiano la vita”

    Di Niccolò Di Francesco
    Pubblicato il 15 Ago. 2021 alle 14:43

    Afghanistan, talebani a Kabul: Pangea distrugge i dati sensibili delle donne aiutate in questi anni

    “Stiamo distruggendo tutti i documenti con i dati sensibili di tutte le donne che abbiamo aiutato in questi anni”: sono ore di angoscia nell’ufficio della onlus Pangea di Kabul dopo l’arrivo in città dei talebani, i quali hanno ormai preso il potere in Afghanistan.

    A testimoniare ciò che sta accadendo in queste ore nella capitale afghana, sono gli stessi addetti dell’organizzazione, che si occupa di diritti umani per le donne favorendo progetti di sviluppo e cooperazione in contesti di crisi, guerre e conflitti.

    Sul profilo Instagram di Pangea, infatti, sono state pubblicate una serie di stories in cui si vedono montagne di documenti che stanno per essere distrutti, proprio per la salvaguardia della vita delle donne che la onlus ha aiutato in questi anni.

    “Stiamo distruggendo tutti i documenti con i dati sensibili di tutte le donne che abbiamo aiutato in questi anni – si legge – Non vogliamo che i talebani possano trovare i loro nomi. Rischierebbero la vita!”.

    Poco prima dell’ingresso dei talebani a Kabul, Pangea aveva espresso la preoccupazione per il conflitto afghana e per le conseguenze che questo avrebbe avuto sulla salvaguardia dei diritti umani.

    “Per noi di Pangea sono ore piene di angoscia e preoccupazione. Mentre scriviamo queste righe i talebani sono alle porte di Kabul e non sappiamo cosa succederà. Siamo in stretto contatto con le ragazze afghane dell’ufficio di Pangea e ogni whatsapp è pieno di paura. Siamo preoccupati perchè sappiamo che le nostre colleghe sono in pericolo e rischiano la vita per essersi impegnate con coraggio con Pangea per i diritti delle donne e delle bambine” si legge nel post.

    “Abbiamo fatto delle promesse ma questo è il momento di attendere. Di mettere al sicuro il nostro staff afghano, di agire in silenzio, di rallentare il nostro lavoro per non mettere ancora più in pericolo le donne e i bambini. Vi abbiamo sempre detto che quello di Kabul non è un progetto ma è famiglia e non vi mentivamo. Quelle donne e quelle bambine sono amiche, sorelle e figlie”.

    “Le conosciamo una ad una. Siamo stati accolti a casa loro, abbiamo riso insieme e gioito delle loro conquiste. Abbiamo giocato a calcio con le bambine sorde, abbiamo negli occhi i loro sorrisi entusiasti, le abbiamo accompagnate a casa dopo gli allenamenti e abbiamo conosciuto i loro genitori. Abbiamo esultato insieme a voi ad ogni loro goal.
    Tutto questo non può finire. Abbiamo fatto delle promesse e faremo di tutto per mantenerle. Non le lasceremo sole. Non lasciateci soli!”.

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