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    Il problema non sono i migranti, ma l’Unione europea

    L'opinione di Laura Stahnke

    Di TPI
    Pubblicato il 3 Nov. 2015 alle 11:25 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:24

    Lunedì 26 ottobre 2015 è stato siglato un accordo tra gli 11 Paesi lungo la rotta balcanica i cui confini sono stati attraversati da migliaia di migranti nelle ultime settimane.

    L’accordo di 17 punti ha attirato l’attenzione dei media principalmente per la promessa di creare centri dislocati tra Grecia e altri Paesi balcanici che offriranno accoglienza temporanea a circa 100mila nuovi migranti.

    Questo accordo è stato accompagnato dalle parole dell’attuale presidente della Commissione europea Jean Claude Junker, secondo il quale non è possibile che nell’Europa del 2015 le persone siano abbandonate completamente a loro stesse, non avendo altro posto se non i campi in cui passare la notte.

    Queste dichiarazioni stridono però con alcuni dei punti introdotti nell’accordo.

    Per esempio, i migranti lungo la rotta balcanica avranno accesso ai posti di accoglienza temporanea se, e solo se, forniranno le loro generalità e dettagli biometrici alle forze dell’ordine dislocate lungo la rotta balcanica.

    Nonostante la Germania abbia offerto accoglienza all’interno dei propri confini anche a migranti precedentemente identificati, in altri Paesi dell’Unione la Convenzione di Dublino è ancora in vigore: ciò impone che i rifugiati facciano richiesta di asilo nel Paese in cui sono stati inizialmente identificati.

    Questo punto implica che i migranti identificati nei Paesi dell’Ue lungo la rotta balcanica (come Grecia e Croazia) non avranno la possibilità di presentare richiesta d’asilo in altri stati membri dell’Unione. I Paesi nel cuore della fortezza europea cercano così di limitare le loro responsabilità nell’accoglienza dei rifugiati.

    Un altro elemento dell’accordo che lascia intendere come dietro le parole di Junker vi sia in realtà una volontà ferrea di limitare il numero di accessi al cuore dell’Europa è l’enfasi posta sulla distinzione tra migranti e rifugiati. Il trattato sottolinea infatti come i migranti che non verranno riconosciuti come rifugiati saranno prontamente rimpatriati.

    Il trattato stabilisce inoltre che verranno intraprese azioni per aumentare la collaborazione con Afghanistan, Pakistan e Bangladesh al fine di rimpatriare quei migranti a cui non verrà riconosciuto il titolo di rifugiati, mentre si sottolinea che presto riprenderanno le trattative con la Turchia affinché questa possa rivestire un ruolo chiave nell’arginare i flussi migratori che passano attraverso il suo territorio.

    Sempre tenendo a mente la necessità di limitare gli accessi al cuore dell’Europa, il trattato stabilisce che verrà ritenuto inaccettabile qualora i Paesi sulla rotta balcanica dovessero lasciare passare i migranti attraverso il proprio territorio verso la prossima frontiera, senza aver prima informato le autorità dei Paesi confinanti.

    L’accordo specifica chiaramente che il fine ultimo è quello di ristabilire la sovranità europea sui propri confini esterni.

    Ciò chiarisce che quella a cui stiamo assistendo attualmente non è una crisi migratoria, ma una crisi del potere europeo nella gestione dei propri confini.

    I flussi migratori degli ultimi mesi hanno messo a dura prova le barriere dell’Europa. Con le parole di Junker, questo trattato esemplifica come in realtà i leader dell’Unione non aspettino altro che tornare a una situazione di completo controllo sugli accessi al loro territorio.

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