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    “La gigafactory Stellantis è questione di vita o morte ma nessuno ne parla: sui giornali c’è sudditanza verso gli Agnelli”

    Intervista a Giorgio Airaudo, segretario generale della Fiom-Cgil Piemonte: "Nel Pnrr non c'è traccia della fabbrica delle batterie, il Governo è in ritardo ma almeno adesso si è attivato. Dalla gigafactory di Stellantis dipende il futuro dell'auto in Italia: può portare fino a 6mila posti di lavoro incluso l'indotto e trainare la nuova filiera dell'elettrico. Eppure sui media se ne parla poco, forse c'è sudditanza psicologica rispetto ai nuovi assetti proprietari. Lo stabilimento di Grugliasco non si tocca, su Melfi raggiunto un buon accordo. Il blocco dei licenziamenti? I sindacati hanno fatto cambiare idea a Draghi, impresa difficile. Le manifestazioni dello scorso sabato sono state un avvertimento: le riforme di ammortizzatori sociali e pensioni non si fanno senza di noi"

    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 30 Giu. 2021 alle 18:40 Aggiornato il 30 Giu. 2021 alle 20:20

    Airaudo, sullo sblocco dei licenziamenti i sindacati hanno trovato un accordo col Governo: proroga selettiva e vincolata all’utilizzo degli ammortizzatori sociali. È un buon punto di mediazione?
    “Mi sembra meglio di ciò che voleva fare il Governo da solo”.

    Appena quattro giorni fa, però, eravate scesi in piazza per chiedere una proroga indiscriminata.
    “Abbiamo ottenuto di far cambiare idea al Governo e al presidente del Consiglio, che fra l’altro di solito non cambia idea e si limita a comunicare ai partiti e al Parlamento cosa vuole fare. Questo mi sembra un risultato. Ovviamente un risultato parziale”.

    È un compromesso.
    “È meglio di ciò che era stato annunciato. Certo, non è la proroga del blocco. Ma imprenditori e Governo sappiano che useremo questo accordo: non si licenzia nessuno dove ci sono gli ammortizzatori sociali”.

    A proposito di ammortizzatori. Si farà in tempo ad arrivare a una riforma entro la fine di ottobre, quando il blocco dovrebbe scadere definitivamente?
    “Il problema non è il tempo, ma la volontà. E l’intendersi sull’obiettivo”.

    Quale dev’essere l’obiettivo?
    “Faccio un passo indietro. Negli ultimi vent’anni si è più volte cercato di ridurre o addirittura cancellare la cassa integrazione. La pandemia, invece, ci ha dimostrato l’importanza di questo strumento. Meno male che l’abbiamo difeso. E, da rappresentante dei lavoratori della manifattura, aggiungo: abbiamo difeso qualcosa che ci paghiamo, perché la cassa integrazione – lo ricordo – è finanziata con prelievo mensile dalle buste paga di questi lavoratori. Ogni lavoratore si paga la ‘assicurazione’ della cassa integrazione”.

    Veniamo alla riforma.
    “Io penso che si dovrebbe andare verso un ammortizzatore sociale universale, che valga per tutti i lavoratori e le lavoratrici e per tutte le imprese, anche quelle del commercio e dei servizi. E che tutti i lavoratori e tutte le imprese debbano finanziarlo”.

    Immagina un ammortizzatore legato anche alla formazione?
    “Questi sono contorni, dettagli che siamo ampiamente disponibili a negoziare. Lei dice la formazione e io dico la riduzione d’orario: penso ai part-time, ai contratti di solidarietà…. Ma il punto centrale è arrivare a un ammortizzatore sociale universale”.

    Il Governo ha avuto un primo tavolo con Stellantis e i sindacati. Che ne pensa?
    “Stellantis è la più grande operazione industriale e finanziaria che c’è stata nell’ultimo anno in Europa e forse nel mondo: un’operazione privata per la parte italiana e privato-pubblica per la parte francese. Che il Governo italiano dovesse dialogare con questa opportunità, a maggior ragione a fronte della crisi sociale dovuta alla pandemia, mi sembrava ovvio”.

    Ma…?
    “Trovo che il Governo ci sia arrivato in ritardo. E penso che, in particolare sulla gigafactory, avrebbe dovuto scrivere qualcosa di più preciso nel Pnrr: si parla solo di una gigafactory dell’idrogeno, che però riguarda uno sviluppo possibile per la mobilità nell’arco di 15-20 anni. Inoltre non condivido il fatto che si discuta stabilimento per stabilimento: dobbiamo fare una discussione complessiva. Ad esempio, il risparmio cui costi che ipotizza Tavares (amministratore delegato di Stellantis, ndr), e che è iniziato a Melfi, andrebbe visto complessivamente, anche in un bilanciamento tra Nord e Sud”.

    Gli stabilimenti del Nord costano più di quelli del Sud?
    “No. E lo stesso Tavares ha spiegato che il costo del lavoro in Italia non è un problema perché in Francia è più alto. Il valore del lavoro per ogni auto prodotta, ha spiegato sempre l’amministratore delegato, è del 9-10%: questo significa il costo industriale del prodotto per il 90% non è imputabile al lavoratore. Se è così, allora c’è un problema riorganizzativo dei processi di progettazione e di produzione: si chiama tempo di attraversamento di un’auto tra quando la progetto e quando la metto sul mercato”.

    Quindi da dove arriveranno questi famosi 5 miliardi di risparmi che Tavares ha annunciato?
    “Sembra di aver capito che l’amministratore delegato dica che si può migliorare molto il processo produttivo che ha ereditato da Fca. Si parla di costi legati allo spazio, costi dell’energia, razionalizzazione della fornitura…”.

    Su una razionalizzazione di queste voci sareste disponibili?
    “Prima vorremmo conoscerla complessivamente. Che ci siano alcuni costi da razionalizzare può essere materia di negoziazione. Ma quello che per noi non è negoziabile è l’occupazione”.

    Diceva del Pnrr e della gigafactory dell’idrogeno. L’automotive si sta elettrificando, ma l’orizzonte finale è l’idrogeno?
    “Di certo si va verso la fine del motore termico. A breve l’Unione europea annuncerà le nuove soglie di emissioni e questo ci farà capire quanto tempo avremo ancora per i motori ibridi. Nell’immediato abbiamo a disposizione l’elettrico ed è verso quello che dobbiamo per forza muoverci nei prossimi 3-4 anni, altrimenti saremo fuorilegge in Europa”.

    E l’auto a idrogeno?
    “È una tecnologia che va sviluppata. Ma non si arriva all’idrogeno senza passare dall’elettrico. L’occupazione nei prossimi anni si mantiene, e forse si aumenta, sull’elettrico. Per l’idrogeno ci vuole molto tempo”.

    E allora parliamo di elettrico e della gigafactory, la fabbrica delle batterie. Stellantis ha previsto di costruirne per ora una in Francia e una in Germania ma entro fine anno ne annuncerà una terza in Europa. Voi insistete affinché scelga di farla in Italia, e in particolare a Mirafiori. Per l’automotive italiana è una questione di vita o morte?
    “Questo è sicuro. Chi avrà la gigafactory manterrà la produzione dell’automobile, chi non l’avrà rischia di diventare uno stabilimento di polmonatura, cioè che fa le auto solo se il mercato le chiede. Se hai la gigafactory hai l’innovazione tecnologica, hai un nuovo processo produttivo, hai i nuovi componenti”.

    Si creerà un anche indotto, insomma.
    “Una vera e propria filiera produttiva, che in parte è già iniziata nella ricerca e sviluppo. Dal sistema frenante alla trasmissione, fino ai cambi. Se non hai la gigafactory non solo non hai la produzione delle batterie ma farai fatica ad avere anche la produzione delle componenti che stanno prima e dopo le batterie. E sarebbe bene che parlassimo di batterie interamente riciclabili”.

    Cosa si può riciclare in una batteria esausta?
    “Quando parlo di batterie riciclabili mi riferisco a un ciclo di produzione che recupera le terre rare, i metalli… E dovrebbero essere cicli in cui è prevista non solo la costruzione delle celle delle batterie, ma anche lo smontaggio dell’auto da cui bisognerà dismettere le batterie. Bisogna pensare a progettare le batterie per poterle smontare e riciclare recuperando, con processi chimici e tecnologici che esistono, tutto il materiale possibile. C’è molto lavoro da costruire”.

    Che impatto potrebbe avere sull’occupazione la gigafactory di Stellantis?
    “Normalmente una gigafactory occupa dalle 1.500 alle 2mila persone. Con l’indotto è difficile fare una stima, ma immagino che si possa tranquillamente triplicare”.

    E quanto costerebbe l’investimento?
    “Mediamente per fare una gigafatcory servono dai 3 ai 5 miliardi di euro di investimento”.

    L’avversario dell’Italia è la Spagna.
    “Dove nell’anno della pandemia si sono prodotte 2 milioni e 250mila vetture, a fronte delle 850mila dell’Italia, e dove operano quattro produttori di automobili (Renault, Volkswagen con Seat, Stellantis e Ford, ndr), mentre in Italia ne abbiamo solo uno”.

    Il Governo sta facendo abbastanza per convincere Stellantis a collocare in Italia la terza gigafactory europea?
    “Nelle ultime settimane, se non altro, lo sta chiedendo, il ché mi sembra una premessa minima. Se stia facendo abbastanza bisognerebbe chiederlo ai ministri dello Sviluppo economico e della Transizione ecologica, che – come sappiamo – ha incontrato a più riprese esponenti della Acc (Automotive Cells Company, ndr), la joint venture tra Setllantis e Total creata per realizzare le altre due gigafactory, in Francia e Germania”.

    Il Pnrr italiano, però, l’ha delusa.
    “Mi aspettavo che si parlasse di gigafactory e che il Governo italiano, coinvolgendo Eni ed Enel che hanno competenze specifiche, mettesse una dote di qualche miliardo in più rispetto a quelli stanziati”.

    Per la fabbrica delle batterie si sono mossi anche gli enti locali: la sindaca di Torino Appendino e il governatore del Piemonte Cirio.
    “Hanno fatto bene. Anche loro un po’ tardi, però”.

    Benché si tratti di un tema cruciale per il futuro dell’industria italiana, sui grandi giornali nazionali si parla solo marginalmente della gigafactory. Perché?
    “Forse perché il sistema dell’informazione italiano ha cambiato assetti proprietari negli ultimi anni. Forse perché c’è una sudditanza psicologica, come nel calcio” (Ride).

    Allude agli Agnelli?
    “C’è una notevole concentrazione negli assetti proprietari dei media, che spero non diventi un problema. Ma, guardi, più che la stampa, mi interessa che se ne occupino Draghi, Giorgetti, Cingolani e possibilmente anche il ministro del Lavoro, visto che stiamo parlando anche di occupati”.

    Per la fabbrica di batterie si è attivata anche la Confindustria torinese. Tutti compatti, per una volta.
    “Sì, un po’ tardi anche loro a dire il vero. Anche loro forse soffrono un po’ di sudditanza psicologica rispetto al passato”.

    Cioè?
    “Nelle strutture industriali locali erano abituati a delegare le decisioni strategiche alla Fiat. In questa fase credo facciano fatica a capire che è cambiata la lingua. Non abbiamo più un’azienda locale, tant’è che già in Fca era spartita la T di Torino”.

    E la sede è da anni in Olanda.
    “Ma questo è stato permesso, e in alcuni casi addirittura festeggiato, dalla politica. Un bel paradosso”.

    Pensa che prima o poi Stellantis rientrerà in Confindustria?
    “Deve chiederlo a Bonomi. Non solo i sindacati, anche le associazioni padronali hanno i loro problemi di rappresentanza. Quello che so è che Stellantis in Francia partecipa alla Confindustria francese”.

    Tavares ha assicurato che la Francia resterà una grande nazione dell’auto. E l’Italia?
    “Be’, noi non siamo più una grande nazione dell’auto”.

    Per colpa di chi?
    “La colpa è di tutti i governi che si sono succeduti. Ma anche il gruppo Fca negli ultimi anni ha fatto risultati e profitti negli Stati Uniti, non Italia”.

    Ce l’ha con Marchionne?
    “Marchionne è stato un importantissimo manager. Un uomo di accordi col sindacato e purtroppo anche un uomo di divisione e di disaccordi. Ma preferirei non parlare di persone che non possono replicare. Quello che posso dire, invece, è che i governi italiani hanno subìto e non hanno mai discusso alla pari con il produttore nazionale”.

    Con Draghi vede una svolta nella politica industriale?
    “Nella politica industriale ancora no. Vedo il fatto che chiediamo la gigafactory, e mi sembra una cosa importante, sebbene tardiva. Nel Pnrr non se ne parla ma, come stanno dimostrando gli Europei di calcio, anche un gol al 90’ ti consente di passare il turno”.

    Gli assetti in Stellantis sono sbilanciati verso la Francia?
    “Non glielo devo dire io, basta guardare il Cda. Noi abbiamo un italiano importante, che è il presidente del gruppo: John Elkann, il cavaliere del lavoro John Elkann”.

    Exor, la holding degli Agnelli, sembra però sempre più disinteressata al business dell’auto.
    “Che Exor abbia diversificato e che pensi che i suoi interessi non siano più prevalentemente nell’auto è una certezza da un decennio. Una certezza che adesso si consolida”.

    E questo la preoccupa?
    “Guardi, noi dobbiamo discutere della realtà. La realtà è che c’è stata una grande operazione industriale finanziaria, c’è una nuova società, c’è un amministratore delegato francese e ci sono stabilimenti italiani che non sono saturati. L’Italia ha bisogno di aumentare i volumi. E per questo si candida a ospitare la terza gigafactory del gruppo in Europa”.

    L’8 luglio è in calendario l’atteso Elettrification Day di Stellantis. Cosa si aspetta?
    “Immagino che Tavares illustrerà il piano. Mi aspetto che confermino le tre gigafactory europee e l’obiettivo del 75% di vetture elettriche entro il 2030”.

    Lo stabilimento di Grugliasco rischia la chiusura?
    “Leggo anche io queste voci. E mi colpisce quando vengono dal fronte sindacale. Ma a noi la questione non è stata posta. Se nell’ambito delle razionalizzazioni dovessimo affrontare questo tema, sia chiaro che non lo si potrà affrontare senza partire dal fatto che le garanzie occupazionali vanno mantenute, che i volumi produttivi vanno portati e che ci devono essere compensazioni”.

    L’accordo raggiunto da azienda e sindacati su Melfi non piace al Comitato degli iscritti Fiom della fabbrica.
    “Per Melfi sono previsti quattro nuovi modelli e ipotizzate 400mila vetture all’anno. Una bella prospettiva ma – attenzione – è una ipotesi, una intenzione: anche Marchionne diceva che avrebbe prodotto 400mila Alfa e poi non è mai andato oltre le 80mila. La cosa importante è che a Melfi sanno che avranno investimenti, volumi e garanzie occupazionali. Non mi pare che siano previsti esuberi”.

    È stato previsto, però, un incentivo all’uscita.
    “Questo è stato previsto in tutti gli stabilimenti. Ed è un altro problema. In tutte la fabbriche italiane, non solo quelle Fiat, abbiamo lavoratori che negli ultimi 15 anni hanno visto allungarsi l’età pensionabile. Lavoratori stanchi, che non ne possono più. C’è un problema che il Governo Draghi, dopo gli ammortizzatori, dovrà di corsa affrontare”.

    La riforma delle pensioni.
    “Una riforma definitiva, che dia garanzie e che duri qualche decennio. Le assicuro che questa è la cosa di cui si discute di più nelle fabbriche in questo momento, insieme al virus. I lavoratori si chiedono se fra 5 anni potranno andare in pensione o se ne frattempo gli anni saranno diventati magari 8 o 10… È una cosa che dovrebbe risolvere il Governo, il Parlamento, la politica. Ecco perché penso che i sindacati abbiano fatto bene, sabato scorso, a fare quelle che io chiamo manifestazioni di avvertimento”.

    Manifestazioni di avvertimento?
    “Lo sono state. Hanno funzionato perché sullo sblocco si è ottenuto qualcosa in più. Mi auguro che il Governo sappia che non si fa la riforma degli ammortizzatori sociali né quella delle pensioni senza il coinvolgimento del sindacato”.

    Allude a un modus operandi troppo accentratore di Draghi?
    “Che ci sia stata una certa autosufficienza tecnocratica, sì, l’ho pensato”.

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