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    Stellantis piange miseria e chiede soldi allo Stato, ma intanto gli Agnelli intascano 500 milioni di dividendo

    L'amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, e il presidente John Elkann. Credit: Stellantis
    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 25 Feb. 2022 alle 16:26 Aggiornato il 25 Feb. 2022 alle 18:28

    L’industria dell’auto vive una delle fasi più difficili della sua storia centenaria: casa Fiat piange miseria e chiede aiuto allo Stato italiano. Eppure, mentre gli operai sono in cassa integrazione, la famiglia Agnelli-Elkann si mette in tasca l’ennesimo dividendo milionario. Benvenuti nell’Italia dove a pagare è sempre Pantalone. Cioè noi contribuenti.

    Mercoledì 23 febbraio Stellantis, la multinazionale nata dalla fusione tra Fiat-Chrysler (Fca) e i francesi di Peugeot (Psa), ha presentato i risultati finanziari dell’anno 2021. I ricavi sono aumentati del 14% (125 miliardi di euro), il margine operativo industriale è raddoppiato (18 miliardi) e gli utili addirittura triplicati (13,4 miliardi).

    È vero che il confronto è con il 2020 – l’anno più drammatico dell’emergenza Covid – ma si tratta comunque di numeri sbalorditivi: anche il 2021 , infatti, è stato complicatissimo per Stellantis e per l’intera filiera dell’automotive, tra la crisi di mercato, la carestia di semiconduttori e le primissime mosse della transizione all’elettrico.

    In Italia la produzione di autoveicoli è precipitata sotto le 700mila unità (dato peggiore dal 2013, ma si tenga presente che fino ai primi anni Duemila la media era 1,5 milioni). In tutte le fabbriche si tira avanti con la cassa integrazione (difficile fare una stima accurata, ma si consideri ad esempio che a Pomigliano l’ammortizzatore riguarda in media 900 dei 4.300 lavoratori). E nell’ultimo anno oltre 2.800 dei 50mila lavoratori italiani dell’azienda hanno accettato una buonuscita per dare le dimissioni.

    L’amministratore delegato, Carlo Tavares, ha fatto notare che produrre in Italia costa di più. Non a causa del costo del lavoro, che da noi è più basso rispetto a Francia e Germania, ma per i prezzi più elevati dell’energia. E per la prima volta non ha escluso che si renda necessario chiudere qualche stabilimento: “Chiudere impianti significa mandare tutti a casa. Se posso evitarlo, lo eviterò. Di solito mantengo le promesse, ma il futuro dei nostri siti dipenderà anche dai vincoli politici sulla decarbonizzazione”, ha messo in guardia, intervistato il mese scorso dal Corriere della Sera.

    Tavares non fa mistero di essere molto scettico sui tempi e i modi della transizione all’auto elettrica imposta dalla Commissione europea per contenere le emissioni di CO2. Stellantis inevitabilmente si adeguerà (sono previsti investimenti per 30 miliardi di euro entro il 2025), ma sarà dura riconvertire in toto l’industria dell’auto senza aiuti pubblici. L’amministratore delegato auspica quindi che i governi europei contribuiscano con denaro pubblico, ad esempio mantenendo gli incentivi all’acquisto sulle auto a batteria.

    Ma se il momento è così nero, allora com’è possibile che il bilancio finanziario di Stellantis sia così entusiasmante? Risposta non facile: la redditività di alcuni prodotti è aumentata, lo smart working ha alleggerito le spese e certe attività sono state internalizzate, ma il fattore più sottolineato dall’azienda sta nella spending review attuata con l’integrazione tra Fca e Psa. “Sinergie” – come vengono chiamate in gergo tecnico – che hanno fruttato 3,2 miliardi di euro di risparmi.

    Tuttavia, malgrado la crisi che picchia duro, questi soldi non saranno reinvestiti. Finiranno invece tutti nelle tasche degli azionisti: nel presentare i risultati finanziari, Tavares ha infatti annunciato un maxi-dividendo da 3,3 miliardi di euro per i soci, più un premio da 1,9 miliardi di euro da distribuire a tutti i dipendenti (che si tradurrà in una “mancia” una tantum da circa 450 euro a testa).

    Per la famiglia Elkann-Agnelli, che tramite Exor controlla il 14% di Stellantis, significa un incasso pari a circa 470 milioni di euro. Cifra superiore – per dare un’idea – ai 370 milioni di euro che il Governo italiano dovrebbe sborsare per la fabbrica delle batterie (la cosiddetta gigafactory) che Stellantis ha in programma di realizzare a Termoli.

    Sale così a 1,5 miliardi di euro il tesoretto pagato nell’ultimo anno dall’azienda a Exor: alla nuova cedola vanno infatti sommati gli 870 milioni staccati in via straordinaria agli azionisti di Fca al momento della fusione con Psa e i 144 milioni del dividendo messi a bilancio lo scorso aprile.

    Nel frattempo – dopo le sollecitazioni di Tavares, ma anche di Federmeccanica e dei sindacati – il ministero dello Sviluppo economico ha annunciato (per ora solo annunciato) uno stanziamento da 8 miliardi di euro in otto anni per sostenere la riconversione elettrica della filiera automotive (ancora tutto da chiarire attraverso quali modalità).

    Riassumendo, dunque, mentre Stellantis chiede aiuto allo Stato (legittimamente) sotto forma di cassa integrazione e di contributi alla transizione ecologica, i suoi azionisti brindano e passano all’incasso.

    Anche il presidente francese Macron – va detto – sta finanziando la rivoluzione elettrica della sua industria automobilistica nazionale. Ma rispetto all’Italia c’è un’importante differenza: l’Eliseo è azionista di Stellantis. Il ché significa partecipazione alle decisioni aziendali e ai dividendi. Mica male.

    Ora però l’attenzione degli addetti ai lavori è tutta rivolta a martedì 1 marzo, quando Tavares presenterà l’attesissimo piano strategico a lungo termine di Stellantis. Da quel documento si capirà, forse, se l’Italia ha ancora qualche chance di sopravvivere come Paese produttore di automobili.

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