Il conto dell’energia elettrica è ormai diventato un termometro economico della gestione della casa: poche voci del budget destinato alla vita familiare, infatti, reagiscono con la stessa rapidità alle oscillazioni dei mercati internazionali.
Un elemento decisivo, ma spesso trascurato, è il PUN, acronimo di Prezzo Unico Nazionale. È importante comprenderne la logica, in modo da leggere la bolletta con occhi diversi, trovare margini di risparmio interessanti e fare affidamento a condizioni contrattuali più favorevoli.
Cos’è il PUN: definizione e metodo di calcolo
Il PUN rappresenta la media ponderata dei prezzi orari scambiati sulla borsa elettrica italiana. Questa media viene calcolata considerando l’energia acquistata nelle differenti zone e le relative quantità immesse.
In altre parole, ogni giorno le imprese di produzione presentano offerte, gli operatori di vendita dichiarano la propria domanda e, all’intersezione tra i due insiemi, nasce un valore che, pur variando di ora in ora, viene poi aggregato in una cifra giornaliera di riferimento.
All’interno di un mercato che punta a garantire trasparenza, il PUN fornisce un punto di riferimento condiviso. Da questo deriva l’utilità di un confronto tariffe luce basato su dati aggiornati: soltanto mettendo in relazione il proprio piano con la direzione seguita dal PUN è possibile anticipare rincari o, al contrario, individuare fasi di discesa.
Come il PUN incide sulla bolletta dell’energia elettrica
La bolletta elettrica nel nostro Paese contiene varie componenti: spesa per la materia prima, costi di rete, oneri generali di sistema, accise e IVA. Fra queste voci, la quota energia, cioè la frazione legata all’acquisto all’ingrosso dell’elettricità, risponde direttamente alle variazioni del PUN.
In assenza di contratti a prezzo fisso, quando il PUN sale, l’effetto raggiunge l’utente finale dopo un breve intervallo, perché il fornitore riversa l’aumento sugli importi fatturati.
Per fare un esempio, si può immaginare un PUN medio mensile che passa da 0,10 €/kWh a 0,14 €/kWh: per una famiglia con consumi annui pari a 2.700 kWh, la sola componente energia genererebbe, su base mensile, circa 9 euro in più.
A questa voce si sommano poi le imposte, con un moltiplicatore che amplifica l’esborso. In periodi di flussi energetici incerti, cioè quando la disponibilità di gas o di rinnovabili si riduce, la volatilità del PUN diventa la principale causa di aumento delle spese.
I fattori che determinano le oscillazioni del PUN
Dietro l’andamento del Prezzo Unico Nazionale ci sono numerosi elementi. Il primo riguarda il valore del gas naturale sul mercato TTF: poiché gran parte delle centrali italiane utilizza un ciclo combinato, il costo del combustibile fossile influenza il punto d’incontro fra domanda e offerta.
A questo si aggiungono variabili meteorologiche: inverni rigidi o estati torride, spingendo rispettivamente riscaldamento elettrico o climatizzazione, fanno crescere la domanda e quindi anche il prezzo.
Un altro fattore è costituito dal contributo delle rinnovabili: quando la forza del sole o quella del vento sono elevate, l’elettricità prodotta da queste fonti entra nell’insieme a costo marginale ridotto, spingendo il PUN verso il basso. Infine, contano la disponibilità di capacità di importazione dai Paesi confinanti e gli eventuali fermi programmati delle centrali nazionali per manutenzione.
Tre aspetti da considerare sul PUN
Il PUN è uguale per tutta Italia, perché deriva da una media nazionale delle zone di mercato. La differenza tra aree a volte si manifesta nelle fasce orarie, ma la cifra di riferimento diffusa ogni giorno è unica.
Il servizio di maggior tutela definisce la componente energia calcolando proprio il PUN medio, aggiornato di norma ogni trimestre; di conseguenza, l’effetto del PUN permane, anche se esteso nel tempo.
Non esiste un limite rigido che può indicare un tetto massimo al PUN. A volte l’Autorità interviene su oneri o agevolazioni per contenere il costo finale, ma il valore di borsa risponde alle sole regole del mercato.
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