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    Ex Ilva, Landini a TPI: “Lo Stato entri come azionista, l’Italia non può perdere l’acciaio”

    Maurizio Landini, segretario generale della Cgil

    Intervista al segretario generale della Cgil: “Giusto ripristinare lo scudo penale ma Arcelor Mittal rispetti i patti”

    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 8 Nov. 2019 alle 19:51 Aggiornato il 18 Nov. 2019 alle 16:24

    TPI intervista Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, sulla crisi dell’ex Ilva, dopo il ritiro di Arcelor Mittal.

    Landini, sull’ex Ilva sta prendendo quota l’ipotesi della nazionalizzazione.  Siete favorevoli?

    Un anno fa, il 6 settembre 2018, dopo quasi sei anni di problemi, abbiamo fatto un accordo: il più grande gruppo siderurgico del mondo ha firmato un’intesa con governo e sindacati in base alla quale avrebbe sostenuto una serie di investimenti ambientali e industriali per arrivare a produrre 8 milioni di tonnellate annue di acciaio entro il 2023.

    La nostra posizione è che quell’accordo va fatto rispettare. Sarebbe però utile già adesso che nel capitale di quella impresa entrasse anche un pezzo di capitale pubblico, come avviene in tante altre parti del mondo quando ci sono produzioni considerate strategiche per il paese.

    Che questo avvenga attraverso Cassa Depositi e Prestiti o un altro fondo, poi, lo decida il governo.

    L’industria dell’acciaio vive una fase di crisi.

    Il mercato  dell’acciaio, come ha avuto delle crescite, adesso è in una fase di calo, ma non è che calerà sempre. La domanda d’acciaio rimane. Per gestire le fluttuazioni del mercato, peraltro, ci sono già degli strumenti. Il tema è che bisogna fare gli investimenti e garantire quello che era stato previsto con quell’accordo.

    Perché oggi avete scioperato?

    Noi abbiamo scioperato perché non c’è un tavolo di trattativa e non abbiamo avuto la possibilità di discutere con Arcelor Mittal. C’è stato un incontro tra il governo e Arcelor Mittal  e siamo davanti alla revoca decisa dall’azienda e al governo che chiede all’azienda di cambiare idea. Pensare che siano i tribunali a discutere chi ha ragione è secondo noi una follia perché non è il tribunale il luogo della soluzione.

    Ognuno faccia la sua parte, a partire dalla necessità di applicare l’accordo. Deve esserci un tavolo di trattativa che coinvolga anche il sindacato per discutere di questi argomenti.

    È ottimista sul fatto che si possa arrivare a una soluzione?

    Non sono né ottimista né pessimista. Sono pragmatico, penso che sarebbe una follia che il paese accettasse di rinunciare a un settore strategico come la siderurgia.

    Il governo fa male se non ripristina tutte le condizioni normative che c’erano quando è stato firmato l’accordo.

    L’accordo prevedeva anche lo scudo penale per Arcelor Mittal.

    Sì. E bisogna ripartire da lì. Lo scudo fu introdotto nel 2015, quando l’Ilva era commissariata, quindi non va interpretato come un favore fatto ad Arcelor Mittal. Del resto chi subentra in una impresa non può essere responsabile di ciò che è accaduto prima.

    L’Italia non può perdere l’acciaio, dice lei. Ma intanto a Taranto la fabbrica inquina e uccide.

    Guardi, quando c’era una siderurgia che inquinava, a Bagnoli, hanno deciso di chiuderla. Se adesso va a vedere Bagnoli non hanno bonificato nulla e non ci lavora più neanche una persona. Nell’accordo con Arcelor Mittal sono previsti 4 miliardi di euro di investimento per risanare il territorio, ma il risanamento lo fai se una impresa funziona.

    È la vertenza più complicata  della sua vita?

    È sicuramente una  vertenza complicata ma ce ne sono state tante di vertenze complicate. Ed è proprio quando le cose sono più complesse che bisogna tirare fuori l’intelligenza che ognuno di noi ha.

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